28-09-2019: STATI GENERALI DELLA CULTURA A CASERTA

28-9-2019: STATI GENERALI DELLA CULTURA A CASERTA

Waldemaro Morgese è intervenuto quale relatore ad una giornata di dibattito pubblico svoltasi nell’ambito degli Stati Generali per la cultura in terra di lavoro, sabato 28 settembre 2019 a Caserta.

Morgese ha posto in rilievo come la situazione delle istituzioni della conoscenza (knowledge) sia difficilissima e oggi oltremodo precaria: a mero titolo esemplificativo le statistiche stimano nell’appena il 15% i cittadini frequentanti le biblioteche in Italia, una percentuale peggiore perfino di quella dei lettori di almeno un libro all’anno e che è destinata – se non intervengono veri correttivi – a scendere ancora di più nei prossimi anni, perché il futuro è nemico non amico delle biblioteche a motivo dello sviluppo della realtà aumentata, dell’IA, della robotica intelligente e del passaggio della specie umana a quella di cyborg. Si aggiunga che si tratta di una cifra media, in quanto nel Sud la situazione è ancora peggiore.

Le eccellenze, che pure vi sono, purtroppo non fanno tendenza e comunque sono una goccia nel mare: se non lo si riconosce, vuol dire che ci si attarda in un approccio ingenuo, autoreferenziale e consolatorio, che a nulla serve per cambiare la situazione negativa (quando non diventa nei fatti autolesionista e dannoso).

Per affrontare tutto ciò occorre un mutamento radicale delle opzioni strategiche (quelle che si formulano a 15, 30 anni) e una riflessione approfondita sulle mission delle varie istituzioni della conoscenza.

Riguardo alle strategie, bisognerebbe cominciare a ragionare (e ad imporre alla politica) una visione dell’azione sulle istituzioni della conoscenza fondata sulla integrazione diffusa: bisognerebbe creare cioè anzitutto la macrofiliera CIF: cultura, istruzione, formazione (Long Life Learning). Bisognerebbe reclamare per la macrofiliera CIF un’unica fondamentale opzione strategica: la nutrizione della mente, perché agire sul fattore umano costituisce l’azione più efficace per l’avanzamento di ogni altro aspetto. La politica ha risposto all’esigenza di creare filiere integrando cultura e turismo: circostanza perniciosa e devastante, in quanto ha sottoposto la cultura al business turistico, degradandola ad ancella o fattore servente. Bisogna invertire tutto ciò, ponendovi fine. Determinati settori degli operatori della conoscenza hanno dimostrato consapevolezza dell’importanza, oggi, di creare microfiliere, concependo il MAB ad esempio (musei-archivi-biblioteche), ma il progetto è rimasto tuttora ad una fase embrionale, salvo riproporlo stancamente ogni tre-quattro anni, perché al suo compiuto sviluppo ostano le “gelosie” di ruolo, gli approcci autoreferenziali e gli orgogli storici.

Riguardo alla mission di ciascuna istituzione della conoscenza il discorso da fare è vasto: coinvolge gli istituti della scuola, dell’università, della formazione permanente, della microfiliera MAB, gli altri istituti della cultura come accademie di belle arti, conservatori di musica, etc. Mi soffermo perciò solo sulla microfiliera MAB, più vicina agli interessi di questi “stati generali”, non senza sottolineare che la base di partenza di ogni discorso innovativo in fatto di mission non può non essere – anche per l’alta formazione – l’approccio “eco”, intendendo per “eco” il termine greco òikos (casa). Cioè la necessità che la produzione ed elaborazione della conoscenza e l’uso che se deve fare parta necessariamente da una consonanza con il proprio territorio, al fine di garantire la perspicuità e giustificazione ad esistere di qualsivoglia attività degli istituti: per le biblioteche personalmente ho elaborato da tempo il concetto di “ecobiblioteca”, ma il discorso è molto più ampio.

Occorre oggi un “fine tuning” delle mission dei vari istituti MAB ponendoli in consonanza con la società in evoluzione. Per indicare questo “fine tuning” fra la società in tumultuosa e rapidissima evoluzione e gli istituti MAB si suole utilizzare il termine “paradigma”, ricorrendo evidentemente alla speculazione del filosofo della scienza Thomas Samuel Kuhn, che di paradigmi ha scritto compiutamente nella sua opera The Structure of Scientific Revolutions.

I cambi di paradigma contrastano il pensiero “mainstream”, quello che si è affermato nel corso del tempo ed è dominante: lo sostituiscono o più frequentemente lo affiancano, a guisa di stratificazioni successive, talché gli “strati” precedenti non perdono la loro giustificazione ad esistere pur se cronologicamente scavalcati ma divengono più “obsoleti” proprio perché è sorto un nuovo paradigma.

In campo museale un paradigma innovativo, ad esempio, vari decenni fa è stata la “nouvelle muséologie” implementata da Hugues de Varine e da Georges-Henri Rivière, con la concettualizzazione dell’ecomuseo. Anche nel campo bibliotecario sono stati individuati vari paradigmi dagli studiosi di biblioteconomia ed oggi si discute su quale possa essere il più efficace ed anzi se ne possa esistere uno nuovo dopo la sequenza dei paradigmi “documentale”, “manageriale” e “sociale”.

Nell’epoca successiva all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai 193 Paesi membri dell’ONU, ha un senso indagare su un nuovo paradigma in campo culturale? Se sì, ha anche un senso riposizionare sul piano operativo (delle mission) la filiera MAB?

Di certo se va concepito un nuovo paradigma per le biblioteche, esso deve avere a che fare con l’esigenza che le biblioteche non abbiano come mission fondamentale solo quella di “interpretare” o “documentare” la realtà, bensì quella di migliorarla o addirittura cambiarla utilizzando gli strumenti del “knowledge” (che dovrebbero agire soprattutto, come già precisato, per nutrire la mente): le esigenze dell’òikos “congiurano” in questa direzione, fino a profilare una figura di bibliotecario per nulla neutro o “indifferente” ma impegnato nella modificazione degli aspetti negativi o perniciosi della propria società. Tutto ciò è molto evidente in campo ecologico e ambientale, ma vi sono anche molte altre problematiche, prime fra tutte quelle che ci portano ad intervenire per ridurre le diseguaglianze sociali, la povertà, l’abbandono delle identità a fronte dei processi di globalizzazione, eccetera.

Questo mio intervento è per forza di cose una sorta di “sommario”, perché molti temi implicati nel ragionamento generale che ho fatto sono da sviluppare (su alcuni ho anche scritto in varie sedi) ma spero di aver dato il senso delle convinzioni che ho maturato dopo decenni di impegno nel campo del knowledge.


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