I "QUADERNI DEL CUT/BARI"

I "QUADERNI DEL CUT/BARI"

«QUADERNI DEL CUT». IL TEATRO DA BARI FECE CULTURA IN ITALIA

Il periodico del Centro universitario citato anche da Italo Moscati sulla prestigiosa «Sipario».

Waldemaro Morgese

[pubblicato su «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 14 luglio 2020, p. XVIII].

L’annata 1968 della rivista Sipario (nata nel 1946 e fin dal 1947 edita da Valentino Bompiani) si apre con America Hurrah di Jean-Claude van Itallie (un belga cresciuto dall’età di 4 anni a Great Neck – Long Island), inscenato dall’Open Theater di Joe Chaikin e si chiude sempre con America Urrà: il teatro della rivolta. Sfilano oltre all’Open e al Living Theatre, il Cafe La Mama, il Performance Group, Caffe Cino, Daytop Theatre, Theatre Genesis, Black Theatre, Gut Theatre, Bread&Puppet Theatre, Teatro Campesino, San Francisco Mime Troupe, Firehouse Theater, Om Theatre Workshop. Insomma una fetta dell’off America all’insegna di: “Broadway addio” e della massima di Manny Farber «gli americani devono capire che in arte correr dietro a ciò che è scontato significa perdere la partita in partenza».

Era una plastica dimostrazione che il teatro non poteva restare ai margini del sommovimento sociale in atto nel Mondo occidentale. Il fascicolo di giugno della prestigiosa rivista ci segnala anche l’audience che si erano guadagnati i Quaderni del Cut/Bari, perché Italo Moscati, nell’informare i lettori che anche Pier Paolo Pasolini aveva pubblicato un suo manifesto per il teatro sulla rivista Nuovi Argomenti diretta dal medesimo Pasolini con Alberto Carocci e Alberto Moravia, si chiedeva: «sarebbe interessante apprendere le reazioni dei redattori di Teatro/Festival e dei Quaderni del Cut/Bari sul manifesto pasoliniano, specie sul punto in cui si parla di un teatro per gli intellettuali avanzati della borghesia cioè di un teatro per pochi, dato che in queste 2 riviste, non prive di contenuti rilevanti, giovani universitari chiedono ripetutamente un teatro politico e di idee per molti». 

Proprio ad essere pignoli, curiosamente l’ultimo fascicolo del 1967 di Sipario aveva arato il terreno: infatti era stato dedicato interamente al teatro futurista italiano e proponeva ben evidente la riproduzione di un articolo di Antonio Gramsci del 5 gennaio 1921 in cui il futuro dirigente comunista dichiarava di approvare quanto stavano facendo i futuristi, cioè “distruggere” la civiltà attuale nel campo delle arti.

 I Quaderni del Cut/Bari nascono sostanzialmente nell’ottobre 1967 curati da Vito Attolini, si arricchiscono di 9 fascicoli e dal giugno 1973 sono retti da un comitato redazionale con Achille Mango, Franco Fanizza, Egidio Pani, Vito Attolini, Antonio Serravezza, Antonio (Waldemaro) Morgese, Franco Perrelli e Gianni Attolini. L’ultimo fascicolo è del giugno 1983: in tutto, dal 1967, ben 22 numeri che sono la testimonianza più importante del fatto che il Cut/Bari non fu soltanto una compagnia di teatro sperimentale ma anche una presenza culturale di grande livello, di certo non provinciale.

I Quaderni del Cut/Bari ci permettono dunque di comprendere che il meglio della giovane intellettualità pugliese (ma non solo) e comunque che la Puglia partecipò in pieno allo “spirito pubblico” prevalente in quella fase esaltante dell’impegno sociale e dell’innovazione che ormai definiamo “Sessantotto”. Fase che per di più vide, sullo scenario nazionale, il fiorire anche di altre riviste di teatro, cui i Quaderni del Cut/Bari si affiancarono degnamente: La scrittura scenica (curata da Giuseppe Bartolucci), Biblioteca Teatrale (da Ferruccio Marotti e Cesare Molinari), Teatro (da Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, Edoardo Fadini). Nonché la scelta da parte di riviste prestigiose di editare numeri monografici sul teatro: penso a Il Verri diretta da Luciano Anceschi, Ulisse da Maria Luisa Astaldi e Il Ponte da Enzo Enriques Agnoletti.


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