W.MORGESE - MATERNE NOTTI DI LUNA/recensioni

Giulia Poli Disanto, Vito Marangelli, Mauro Giancaspro, Daniele Maria Pegorari, Pasquale Pellegrini, Andrea G. Laterza, Carmine Tedeschi, Giusy Carminucci.

Un viaggio alla ricerca del tempo perduto
Materne notti di luna di Waldemaro Morgese

[recensione di Giulia Poli Disanto]


Ancora una volta il Tempo ritorna prepotente nell’ultima opera di Waldemaro
Morgese: Materne notti di luna, Homo Scrivens ed. L’Autore affronta uno dei temi
più sentiti dall’essere umano, la soggettività del tempo, un’ossessione che diventa un
personaggio cruciale all’interno della trama.
Il breve dialogo tra Vladimiro ed Estragone in esergo, tratto dal testo teatrale di
Samuel Beckett “Aspettando Godot”, è un primo possibile indizio che il Nostro offre
al lettore. Il Tempo come nel testo teatrale potrebbe essere interpretato attesa, vuoto
da riempire, paesaggio immobile e senza tempo, oppure “filo rosso che lega, in modo
virtuale, passato, presente e futuro”, come ho già segnalato ne Il tempo uguale, Les
Flâneurs ed., altra importante opera dell’Autore.
È bene precisare che Materne notti di luna è un’opera complessa. Una lettura
che richiede impegno e che non consente distrazioni. Un genere letterario suscettibile
di mescolanze tra reinterpretazioni storiche e mitologiche oltre a concetti filosofici.
Uno stratagemma, quello dell’Autore, che permette flessibilità interpretativa e
narrativa a sottolineare, con franchezza, come l’uomo sia incapace di ricordare…
A mio avviso, è un romanzo che va assaporato lentamente per godere delle
infinite e raffinate sfumature che la lettura propone: vicende storiche recuperate
attraverso i dialoghi di Otto ed Elyse, i due protagonisti, che utilizzano il tempo come
un ascensore in sospeso fra ricordi reali, mitologiche fantasie e l’insistente pensiero
della vita e della morte.
Tutto gioca intorno Alla ricerca del tempo perduto, per dirla con Marcel
Proust, alle emozioni del momento, ai bagliori che il Mito suggerisce, al sogno che
aggancia le Storie del passato per riportarle, nella loro lucidità, ad un presente che
tende a dimenticare. I due protagonisti, che l’Autore definisce “sovrumani cercatori”,
hanno un ruolo preciso: quello di attraversare il tempo e ridare vita al passato con un
lungo viaggio foriero di suggestivi incontri.
Uno dei mille interrogativi esistenziali dell’uomo è la fatidica domanda: il
Tempo esiste? Il tempo non è qualcosa che si tocca o si vede. Certo lo percepiamo
attraverso le stagioni, secondo i segnali che la natura ci trasmette. Il passato non è più
e il futuro non esiste; viviamo solo il presente che in sostanza è quella linea di
demarcazione che divide il passato dal futuro. Lo stesso Albert Einstein, con la teoria
della relatività, ci rivela che il tempo non è ciò che abbiamo da sempre immaginato,
ma è l’intervallo tra due eventi.
La particolarità di questo romanzo sta proprio nello stravolgere la temporalità
di ogni racconto, con narrazioni profondamente non lineari e reversibili. I voli
pindarici da un luogo all’altro e da un’epoca all’altra permettono ai due personaggi di

spaziare nel tempo a proprio piacimento. l’Autore afferma per bocca di Elyse: “Io
immagino che la magia sia anche onnipotenza del tempo, nel senso della possibilità
di ripercorrerlo in avanti e all’indietro”…
Di Otto ed Elyse non conosciamo nulla; essi sono senza età e abitano su una
imprecisata collina e il loro continuo viaggiare, come scrive Mauro Giancaspro nella
postfazione, è una “disperata ricerca di quello che resta della vita della madre terra,
che sembra giunta alla sua ultima fase di sopravvivenza…”.
C’è una tenera descrizione che allude alla Hill, la non definita Collina a cui
l’Autore è legato: “I solitari ciliegio e melograno sussultano e grondano. Le gocce
scendono veloci lungo le foglie: splendenti quelle del ciliegio, matte quelle del
melograno. Si spande anche l’intenso effluvio del glicine azzurro, esteso a perdita
d’occhio fino a lambire le roselline bianche centenarie. … Ho dinanzi agli occhi il
bel fico nato selvatico…” Chi è pratico del territorio riconosce l’amata Brenca, la Hill
dell’entroterra molese.
In Materne notti di luna, l’Autore costruisce una tecnica narrativa moderna,
soprattutto rispetto alla tradizione del romanzo italiano. Che i dialoghi siano inseriti
all’interno di una commedia umana o in “una sorta di genere storico fantastico”,
come Waldemaro Morgese afferma, dove l’illogico e il surreale si contendono la
scena, poco importa. Ciò che conta, invece, è la narrazione sempre in bilico tra
passato e futuro con un lettore che si ritrova immerso in un mondo dai risvolti
psicologici e molto lontano dal modo tradizionale di raccontare.
E il tempo, allora? Qui nel romanzo, a mio avviso, è un tempo frantumato. Per
dirla con Sant’Agostino, il tempo non è null’altro che la dimensione dell’anima
poiché il tempo esiste, ma esiste per un’anima. È l’anima che rimette insieme i cocci
del tempo…

 

 

[recensione di Vito Marangelli, pubblicata sul blog "Il Periscopio"]

  Nel parlare di questo ultimo libro di Morgese, che ho letto integralmente nei primi capitoli e scorso con una certa rapidità per il resto, sono tentato di partire da una sintesi finale e di aggiungere successivamente alcune prime considerazioni più analitiche, non da critico ma da semplice lettore.

Più che un romanzo vero e proprio lo definirei un viaggio ‘archeosofico’ di grande erudizione con, aggiungerei scherzosamente, qualche morto di troppo.

Il viaggio si svolge in luoghi e tempi molteplici e vede i due personaggi, il maschile Otto e il femminile Elyse, dialogare in talora estese forme di lecturing su temi storici, filosofici, esistenzialistici e anche fantascientifici. Per archesofico intendo la commistione, peraltro ben riuscita, di nozioni storico-archeologiche e temi filosofici talora sconfinanti verso dimensioni extra-razionali. Mi sembra si possa dire che il libro sia la naturale continuazione di opere precedenti di Morgese con temi autobiografici e l’ormai costante richiamo a figure di uomini del passato con i quali l’autore ha la capacità di dialogare e mantenere un rapporto profondo. Alcuni passaggi sono intensamente poetici, specialmente nei capitoli iniziali. Oltre la Storia, vi sono anche capitoli che trattano la contemporaneità e il futuro immaginabile, come il tema del transumanesimo.

Nel viaggio fantastico mi sono ritrovato anche in luoghi a me ben noti, come il citato Tempio di Iside e Serapide all’incrocio tra la via Merulana e Labicana, dove è ora collocata la Basilica dei Santi Pietro e Marcellino al Laterano che la mia famiglia frequenta con grande assiduità quando siamo a Roma.

La Summa del pensiero di Waldemaro Morgese, declinata in maniera eclettica, ingloba una serie estesissima di nozioni ed esperienze che probabilmente avrebbero meritato al libro il titolo originariamente immaginato dall’autore (“Epopea”). Ne consiglio la lettura centellinandolo per assaporarne le diverse suggestioni e i diversi registri.

 

Una lettura di Materne Notti di Luna

[recensione di Mauro Giancaspro, pubblicata in calce al romanzo]

 

        Materne notti di luna è un diario di viaggio in luoghi visitati e descritti anche attraverso la storia che essi documentano e testimoniano, un viaggio che a tratti appare immaginario, più che cammino e spostamento fisico, movimento della mente e del cuore, spesso ricorrente nel corso di lunghi colloqui tra Otto ed Elyse.

 Otto ed Elyse, unici attori della vicenda narrata, condividono e si scambiano incessantemente suggestioni e sensazioni, certezze e dubbi, timori e speranze, confessando esperienze passate, possibili progetti futuri e passioni. Tra incomprensioni momentanee e successive intese, vivono  l’ossessionante convinzione dell’esistenza di un possibile e indefinito aldilà con  l’inquietante e incessante volo del pensiero a un mondo parallelo al nostro, appena intravisto dal lavorio raziocinante dell’intelletto, ma avvertito con certezza dai sensi. 

 Materne notti di luna è anche viaggio fatto di mille escursioni tra libri e ricordi di lettura, in cui riaffiora la memoria di assidue frequentazioni con gli autori più amati, contaminata spesso dai sintomi di inguaribili passioni bibliologiche, con fugaci miraggi mnemonici di meraviglie manoscritte o stampate, perfino di incisioni e di illustrazioni incontrate nel tempo sfogliando antiche pagine.   

           Waldemaro Morgese, nei panni di Otto, non riesce a svincolarsi dalla sua appassionata e assidua complicità coi libri e spesso si lascia travolgere, travolgendo anche il lettore, da un flusso inarrestabile di scrittura velocissima, mozzafiato, incalzante e paratattica, accostando, con meravigliosa disinvoltura, autori distantissimi nel tempo come Aubrey Beardsley e Ludovico Ariosto, George Byron e Alfredo Pansini. E nell’alluvione tumultuosa dei ricordi, degli stimoli, delle sensazioni che invadono la sua prosa, fluisce anche, quasi in sottofondo, l’eco della musica cui sono stati dedicati ascolto, attenzione, cuore e sogno: quasi una colonna sonora diluita in una convulsa corrente evocativa che avvicina, con invidiabile serenità, musicisti che non hanno mai condiviso niente: come, tra i tanti, Eric Clapton e Richard Clayderman. Il tutto all’insegna dell’incontenibile libertà di sentimento e di espressione di chi esercita, nel piacere della lettura e dell’ascolto, il diritto di godersi, senza condizionamenti eruditi e senza legacci critici, il cosmo delle proprie predilezioni.   

È soprattutto un viaggio, quello di Otto ed Elyse, alla disperata ricerca di quello che resta della vita della madre terra, che sembra giunta alla sua ultima fase di sopravvivenza, insidiata da un’esiziale glaciazione, perché progressivamente abbandonata dalla forza energizzante di un sole ormai privo di forza.

Il viaggio, la poesia epica greca è stata la prima a insegnarcelo, ha quasi sempre un nostos, un ritorno. Ulisse alla fine, dopo mirabolanti peripezie, avventure e disavventure, resistendo alle lusinghe di Circe prima e di Calipso dopo che vorrebbero trattenerlo, torna nella sua Itaca. Noi giovanissimi studenti, infiammati di curiosità e di entusiasmo da un’indimenticabile insegnante, gioimmo davvero al racconto di Ulisse che, tornato a casa, fa strage dei Proci. Poi scoprimmo, più grandicelli, un altro Ulisse, che ci affascinò con assai maggiore trasporto: quello dantesco che, per seguire con i suoi compagni virtute e canoscenza, viola il confine delle Colonne d’Ercole imposto dagli dei agli uomini e si lancia con la sua fragile imbarcazione nel folle e fatale volo verso l’ignoto.

Inquietante il viaggio di Elyse e di Otto, intrapreso con l’angosciante consapevolezza che stia per spegnersi il canto della nostra terra, ma anche, ad un tempo, con la speranza che ci sia un altro mondo vivibile e abitabile, il cui accesso è sconosciuto e le cui porte, anche se mai dovessero essere in qualche modo trovate, resterebbero sbarrate perché nessuno sembra in possesso delle chiavi, dell’accorgimento, del sortilegio,  o della formula la magica per poterle aprire.

 Oppure, chissà (i due viaggiatori sembrano domandarselo ogni giorno), in questo mondo altro e parallelo, posto ben oltre le capacità creative della nostra immaginazione, ci si potrà addentrare forse nel corso di un'altra esistenza solo se sarà davvero possibile – come escluderla? – una reincarnazione.

Otto ed Elyse vivono in simbiosi con la madre terra, ne ascoltano il canto, ne captano perfino il respiro e l’energia. Seguono con curiosità i segni di vitalità che restano del creato. S’incantano nell’osservare l’operosità degli insetti. Adorano vagare sotto il sole splendente o stendersi alla sua luce nudi per meglio godere del contatto di quei raggi col proprio corpo. S’ inebriano, puntando gli occhi verso la linea dell’orizzonte, dell’ abbacinante splendore di un crepuscolo infuocato o del riposante e materno chiarore lunare. Vegliano nella notte spesso solo per sorprendere il sopraggiungere dell’alba e inspirarne l’odore soprattutto quando essa è irrorata dalla pioggia. Potrebbero definirsi esseri silvani, come i due innamorati sorpresi dalla pioggia nel dannunziano pineto. Potrebbero essere solo apparentemente umani, quasi demoni pagani, che degli umani hanno solo le sembianze, o evanescenti creature un po’ chimeriche e un po’ sulfuree, tanta è la loro capacità di ascoltare, con la stessa evidenza dei battiti cardiaci, l’ansimare pericoloso di un vulcano. 

 Oltre il loro nome non sappiamo niente: se sono belli o brutti, di che vivono, che lavoro fanno, qual è la loro età.

La scrittura del nostro autore, infatti, si sviluppa su due diversi registri, che quasi si contrappuntano con due differenti velocità, in un’alternanza tra descrizione meticolosa e minuziosa, narrativa e realistica da un lato, e pallida allusione sfumata e rarefatta dall’altro. 

Dalla Calabria, alla Basilicata, dal Cilento a Napoli, dalla Campania alla Puglia, fino a Roma e, ancora più a nord, a Lugano, le tappe del viaggio sono raccontate con una vera e propria libido illustrativa, che si sofferma anche sui particolari più nascosti e secretati nelle pieghe della natura. Poi improvvisamente interviene un’evanescenza narrativa, a tratti ellittica e sincopata: come accade, oltre che nel tratteggio dei protagonisti, nella raffigurazione di una non identificabile hill, la collina sulla cui sommità essi vivono e della quale si sa solo che è affacciata sul mare.

E allora, forte del diritto inalienabile di andare con la fantasia anche oltre i confini della scrittura, il lettore sospetta che l’autore gli nasconda volutamente l’età di Otto e di Elyse, in modo che egli possa sentirsi loro coetaneo e più convintamente partecipe delle loro stesse angosce e dei loro patemi. I protagonisti sembrano assumere, insomma, di volta in volta l’età di chi legge. Solidarietà e complicità tra lettore reale e personaggi di fantasia del romanzo sono assolute e totali.

Così protagonisti e lettori vivono insieme un comune girovagare che non punta  solo alla ricerca delle forze vitali che ognuno dei siti visitati conserva, ma diventa anche condiviso pellegrinaggio laico della speranza; speranza di trovarla, finalmente, una possibilità di accesso a quel mondo altro, della cui esistenza non sono certi solo Otto ed Elyse, ma alla fine anche noi che stiamo dall’altra parte delle pagine.

 Seguendoli da vicino da un itinerario all’altro, vien fatto di pensare che il grande predecessore di Otto ed Elyse, Ulisse, la agognata via per trovare gli accessi all’aldilà l’aveva trovata, scendendo nell’Ade. 

E chissà che, nelle gole montane della Calabria, tra gli anfratti stretti e ombrosi, descritte da Morgese, che si susseguono dall’altissima Mormanno fin giù al mare attraverso le gole e gli anfratti di Papasidero, antico luogo di lupi e di romiti, non si trovi un passaggio per quel mondo. Come potrebbe essere rinvenuto, questo agognato ponte immateriale di congiungimento, con un colpo di fortuna, sulla sommità del Monte Cocuzzo, dove la notte di San Giovanni si danno convegno irrequiete streghe tra brandelli di nuvole agitate dal vento. 

O forse alla scoperta di questa nascosta via potrebbero aiutare le riflessioni suscitate nel corso dell’escursione nel cuore della Magna Grecia, che ridesta, tra pietre bianche e frammenti di templi antichi, i sopiti ricordi dell’insegnamento pitagorico.

Non basteranno, a spegnere la sete di conoscenza dei due viaggiatori, le ardite risalite in Basilicata, in Campania e in Puglia, sulle vie interne, progettate da ingegneri, guardinghi e timorosi dei pericoli mare, accanto ai percorsi fluviali, affollate un tempo, da pii pellegrini, da terrorizzati fuggiaschi, da mascherati malfattori, da cavalieri santi e bellicosi. Tortuose e ombrose strade lungo le quali  la voce dell’ acqua scorrendo parlava, e ancora parla, di misteri, di intrighi, di delitti e di tesori, come quello mai trovato di Alarico nel letto del Busento.

Ma un dubbio ancora prenderà di sorpresa il lettore, quando si renderà conto che il viaggio è narrato senza alcun riferimento preciso a come Otto ed Elyse si spostano; si domanderà, un po’ ingenuamente, se a piedi, o forse a cavallo, in carrozza, in treno, o addirittura a volo d’uccello su un pallone aerostatico. E si potrà dare allora solo due risposte: che non sia indicato il mezzo di trasporto, così che il viaggio non abbia alcuna precisa connotazione cronologica, diventando il cammino di sempre dell’uomo verso la conoscenza; oppure argomenterà che Elyse e Otto sono già morti, sono solo anime alla ricerca della via per raggiungere il mondo che a loro spetta e compete, quell’aldilà che sono certi deve esistere.   

Per i nostri due protagonisti, esseri umani, creature chimeriche o anime che siano, il loro ritorno al luogo dal quale sono partiti ci sarà. Ma sarà un rientro per un soggiorno inquieto, tormentato dal dilemma se restare in attesa inerte degli accadimenti sulla amatissima collina prospiciente il mare, a godersi albe dalle dita rosa, soli cocenti, tramonti infuocati, guardando dall’alto le navi che fiutano l’orizzonte e solcano le onde. O se tentare, come il temerario Ulisse di Dante, il volo forse folle verso l’ignoto.   

Scoprirà il lettore, trascinato dalla verve incalzante dell’ autore, se Otto ed Elyse,  si proietteranno nel futuro, accettando con temerarietà e ardore di correre il rischio di bruciarsi le ali come l’imprudente Icaro, con  l’eventualità di lanciarsi nell’Oceano eterno come l’agile tuffatore raffigurato nel celebre dipinto di Paestum, oppure se rimarranno ancora pigramente vincolati al loro tranquillizzante passato, nelle mani del precario presente e chiudendo occhi e pensiero verso l’incerto futuro, sulla amatissima collina rischiarata da materne notti di luna. 

 


Morgese, torna l’arte di raccontare in quelle «Materne notti di luna»

[recensione di Daniele Maria Pegorari, pubblicata su "La Gazzetta del Mezzogiorno" dell'8 agosto 2023, pag. 12]

Lavoro letterario nuovo e denso di interrogativi etici – Nel testo si riscontra l’esigenza di una scrittura che interroga il sé.

Dopo numerosi saggi, un’autobiografia, due raccolte di racconti e tre romanzi, Waldemaro Morgese torna alla narrazione con Materne notti di luna (edito da Homo Scrivens, pp. 208, euro 15), confermandosi uno scrittore adatto alla divagazione, renitente allo sviluppo di una tesi coerente, ma al contempo mosso da interrogativi etici che tornano – libro dopo libro – arricchiti dai dibattiti in corso. In particolare questo nuovo romanzo si regge su due rovelli costanti dell’autore (la passione per i libri, soprattutto rari e di nicchia, e il conflitto fra libertà e organizzazione sociale), ma accostati ad altri due temi di attualità: la crisi climatica e le teorie transumaniste. Protagonisti della storia sono Otto ed Elyse, immersi in un fitto dialogo che si acquieta a tratti per concedersi al riposo in uno spazio bucolico indicato come hill, una collina digradante sull’Adriatico, nella quale riconosciamo lo scenario di non poche pagine di Morgese, quello dell’amato poggio di San Maderno, nell’immediato Sud-Est barese: ma all’autobiografia personale e familiare rinviano anche il nome Otto – omaggio al nonno materno, il musicista Ottone Pesce, citato en passant a p. 18, una cui romanza ispira il titolo del libro – ma soprattutto il contenuto del penultimo capitolo, dedicato ai furori del Sessantotto, nella declinazione del situazionismo secondo il pensiero di Guy Debord, poi tradito e naufragato nel sangue delle piazze armate.

Ma qui non è Waldemaro «che parla», bensì un suo alter ego (già transumano? già trapassato?) come la sua amata Elyse, quasi un Adamo che con la sua Eva sta sperimentando il distacco dalla civiltà umanistica e dalla stessa Terra, con modalità che il lettore avrà la curiosità di scoprire da sé. Ma prima che ciò accada i due amanti senza età e senza storia decidono di farsi «cercatori di stimmate», viaggiatori lungo millenni di storia umana, per rintracciare momenti in cui la vita si è espressa in caratteri esemplari, accesi da volontà coraggiose, da creatività geniali, da intuizioni eterodosse; quella vita che occorre conservare in qualche modo perché continui ad alimentare la storia dell’universo, nonostante il «ciclo umano», come lo abbiamo conosciuto, si sia spento. Ed ecco, allora, le peregrinazioni da un’epoca all’altra, secondo un metodo fantastico quasi programmaticamente rivelato nelle prime pagine, dove si parla di Salgari (notoriamente narratore di viaggi mai esperiti, affabulatore straordinario ma uomo disgraziatissimo) e delle bellezze antiquarie di libri illustrati sull’alchimia, sulla mistica, sui luoghi immaginari, sulla simbologia esoterica delle architetture medievali e via saltabeccando fra i volumi più sorprendenti e incoerenti, perlopiù realmente custoditi nella biblioteca «collinare» di Morgese.

Ne scaturisce una scorribanda dalla Magna Grecia di Pitagora all’umile Brystacia (l’odierna Umbriatico, nel Marchesato di Crotone), dal tesoro di Alarico (che la leggenda vorrebbe tuttora sepolto nel greto di un fiume calabrese) alle collezioni del Bargello di Firenze e del Maschio angioino di Napoli, fino all’immaginario «Mausoleo delle forti passioni», memoriale non solo delle gesta epiche di Garibaldi e Nievo, ma anche di quelle oscure di tante vinte e tanti vinti, martiri del conformismo e dell’oscurantismo, di volta in volta accusati di stregoneria, apostasia o libertinaggio. C’è spazio anche per i viaggi nel Risorgimento di Pisacane (un altro vinto ma riscattato nella memoria collettiva solo perché i destini della storia sono andati nella direzione da lui auspicata), nel Mezzogiorno post-borbonico infestato dai briganti (che sollecitano interrogativi sui confini fra legittimità della protesta e orrore della violenza) e a Lugano, dove Otto ed Elyse incontrano Giuseppe Mazzini, «Maestro» di europeismo. Il lettore prova gusto a varcare soglie spazio-temporali che l’autore si perita di rendere plausibili, evitando il consueto armamentario fantasy o fantascientifico: niente time machines o psichedelia, solo cronotopi giustapposti che i due amanti percorrono con assoluta normalità. Ma il divertissement ha ben in vista la sua chiave seria nelle prime pagine, dove Otto dice: «potrei continuare a lungo in questo minuzioso lavoro di introspezione per […] capire perché sento il bisogno di una autoanalisi continua: di scavare, scavare, scavare. Alla fine, o si trova qualcosa di utile o qualcosa di inutile, oppure non si trova un bel niente: […] auspicherei perfino di trovare cose inutili, almeno è meglio del niente». L’immaginazione irrefrenabile di Morgese trova in questa frase una confessione sincera: l’arte del racconto non è che una forma di interrogazione di sé, alla ricerca di una chiave che risolva le contraddizioni del razionalismo in una sapienza diversa.

 


 Un viaggio nel tempo alla ricerca di un'etica della storia

[recensione di Pasquale Pellegrini, pubblicata su "Corriere del Mezzogiorno" del 19 settembre 2023, pag. 7]

 

Materne notti di luna di Waldemaro Morgese, edito da Homo Scrivens, richiede al lettore un impegno particolare, non per la scrittura o la lingua, quanto per l’immedesimazione nel viaggio, attraverso la storia e i luoghi, che impegna i protagonisti: Otto, alter ego dell’autore, ed Elyse. Il romanzo, infatti, è un viaggio nel tempo, attraverso i secoli, le civiltà, i personaggi, sull’onda della memoria, con un filo conduttore che porta fino al presente e immagina il futuro.

 «Muovendosi nella penisola e confrontandosi con luoghi e testimoni – si legge nel risvolto di copertina – Otto ed Elyse compongono una storia intensa e frammentaria, interrogandosi di continuo e invitando anche noi a interrogarci sul senso e il futuro del nostro stare al mondo». È un’operazione ardita, complessa, stimolante per certi versi nella quale si ha l’impressione di voler ricercare a tutti i costi una ragione. «Alla fine – sostiene l’autore – o si trova qualcosa di utile o qualcosa di inutile, oppure non si trova un bel niente: questa è l’ipotesi peggiore perché dà il senso dell’inconsistenza della fatica compiuta. Quindi auspicherei perfino di trovare cose inutili, almeno è meglio di niente». Quando il viaggio inizia il senso sotteso del tempo, i suoi significati reconditi si evincono e si manifestano nelle esperienze, nelle tracce, nei documenti e nella miriade di lasciti che si trovano nei libri. Sono proprio essi che danno un significato vero al tempo.

Materne notti di luna è un libro ricco di memorie, colto, che cerca di trarre dalla storia il succo di un’etica buona o quantomeno utile per il nostro tempo. Lo si coglie in certi personaggi che sembrano buttati lì per caso e invece sono emblemi di una grande forza interiore. Per esempio, il soldato romano Marco Curzio che si getta nella voragine che mette in pericolo Roma. «La voragine – commenta Morgese – si richiuse magicamente, grazie appunto a un cittadino romano che decise di onorare il bene comune senza badare a se stesso».

Avvicinandosi al presente, dopo aver attraversato epoche barbare, il Rinascimento, incontrato personaggi come Pietro Bembo, Mazzini e altro ancora, superato il ’68 con i suoi miti libertari, la realtà si tinge di scuro, nuvole minacciose si addensano sull’umanità sulla quale grava il peso di una crisi climatica che potrebbe rendere inospitale il pianeta. Tuttavia, laddove l’umanità si trovi ci sarà sempre bisogno di qualcuno che racconti i suoi passi. «Noi – conclude Waldemaro Morgese – siamo i cercatori di stimmate, i conservatori della memoria e dobbiamo seguire l’umanità in qualsivoglia forma e ovunque essa decide di andare». Il tempo, insomma, non può passare senza lasciare tracce.

 

 

"Materne notti di luna", un viaggio nel tempo e nello spazio prima che l'uomo diventi cyborg. 

L'ultimo libro di Waldemaro Morgese

[recensione di Andrea G. Laterza, pubblicata su "Mola Libera-Giornale indipendente" il 23 settembre 2023].

 L’ultimo libro di Waldemaro Morgese, “Materne notti di luna” (pagg. 202), edito da “Homo Scrivens” di Napoli, è un romanzo immaginifico, un’affabulazione letteraria che corre sul filo delle pagine in un vortice di sensazioni e di dilemmi intellettuali, lasciando il lettore, alla fine del lungo viaggio, con la consapevolezza che l’artificio del racconto si fa sostanza nelle ardite tesi dell’Autore.

Morgese è tra gli intellettuali pugliesi più lucidi e, al tempo stesso, più visionari. La sua capacità di astrazione è massima in questo lavoro, che va oltre l’esistenzialismo delle precedenti opere, con il probabile obiettivo di mettere chi legge di fronte allo specchio dell’evolversi di una storia, quella dell’umanità, tanto ricca quanto complessa e contraddittoria, fino alla palingenesi ultima del transumanesimo, dell’uomo che evolve, per sfuggire al suo destino mortale e alla stessa fine ineluttabile del pianeta, in cyborg, uomo-macchina, libero dalla malattia e dall’invecchiamento, in una trasformazione post-umana che traguarderà altri mondi abitabili.

A condurre il lettore nel labirinto di un mondo morente – con il sole che scalda sempre meno terre e oceani, e dà avvio ad una glaciazione incipiente nella babele di lingue di scienziati, statisti, filosofi e religiosi su quale scialuppa di salvataggio offrire ad un’umanità dolente e rassegnata – è Otto, l’alter ego dello scrittore, insieme alla sua riflessiva e saggia compagna Elyse.

Un giorno qualsiasi – quando il loro “buen retiro” sulla “hill”, la dolce collina, onusta di ricordi, affacciata sull’Adriatico, è ancora un posto rassicurante e lontano dall’incipiente tragedia planetaria – Otto ed Elyse, metafisici Ulisse oltre le colonne d’Ercole della conoscenza, intraprendono un viaggio verso l’ignoto a ritroso nel tempo, alla ricerca delle “stimmate” dell’umanità.

Un percorso intrapreso, in una dimensione irreale e onirica, da due esseri umani che già vagheggiano il salto di specie verso l’ibridazione uomo-macchina.

Otto ed Elyse si ritrovano nella selva oscura della grande storia in uno scorrere randomico dei millenni e dei secoli.

Loro stessi diventano protagonisti di una macchina del tempo virtuale e si fanno cercatori dei segni che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia umana: quelle “stimmate” che hanno marchiato a fuoco il tempo trascorso con il genio, il coraggio, l’inventiva, la forza degli esseri umani migliori, vinti o vincitori.

La lunga cavalcata per linee temporali, ma anche zigzagando qui e là, andando avanti e indietro nello spazio-tempo, vede Otto ed Elyse assistere alle mirabilie ma anche alle debolezze e alle contraddizioni di personaggi iconici, con il loro agire nei macro eventi: dalla Magna Grecia di Pitagora alla prima Roma che contende il primato agli Etruschi, ai regni barbarici della penisola, nella leggenda del tesoro di Alarico sepolto sotto il letto di un fiume, passando per la ricchezza artistica del Rinascimento fiorentino e giungendo alla sfortunata spedizione di Carlo Pisacane a Sapri.

Il patriota si confessa ad Otto ed Elyse, mentre le figure dei briganti sanfedisti gli fanno da contrappunto, con la loro carica eversiva, fino a quando, travalicando la sottile linea rossa di un tempo indefinito, si staglia la figura del Maestro, di Giuseppe Mazzini, più misterico ed occultista, nella sua dimensione massonica, che rivoluzionario e agitatore sociale.

È in un esoterico e vagheggiato “mausoleo delle forti passioni”, il “mausoleo giustiziere”, ubicato idealmente tra i contrafforti del Cilento, a picco sul mare intorno al mitico Capo palinuro, che i due viaggiatori del tempo rivelano la loro nemesi, la giustizia riparatrice delle forti passioni di libertà e giustizia conculcate nei secoli dal potere dominante.

Ed ecco emergere in cima ad una “scalinata che fugge verso il cielo”, dai blocchi squadrati e sottili ma possenti, molte figure eteree, alcune misconosciute e, anzi, maciullate dalla Storia, come le donne accusate di stregoneria, che trasportano nelle menti dei crononauti le loro vite nascoste, celate tra le pieghe dei grandi eventi.

Tra le tante storie che si dipanano, rotolando lungo le marmoree scale, nei labirinti del tempio laico, quella del rapporto conteso tra Garibaldi e una delle sue donne, Giuseppina Raimondi, con il corollario della tragica scomparsa del garibaldino e scrittore Ippolito Nievo, a bordo del piroscafo “Ercole”, naufragato misteriosamente in una notte di marzo, nel Tirreno in tempesta, con importanti documenti politici e finanziari al seguito.

Fu la prima strage di stato, orchestrata dal potere sabaudo delle nuova nazione unitaria? Otto ed Elyse non ce lo dicono, restano troppo criptici, ma forse Nievo, se interrogato dai due, avrebbe ben potuto dire di più.

Il lungo viaggio scivola in avanti, erratico e multiforme, fermandosi all’anno fatidico della grande contestazione studentesca, il 1968.

A Roma, Otto ed Elyse non incontrano i grandi cortei, gli scontri di piazza, i capi della rivolta di Valle Giulia, dove tutto ebbe inizio. Otto trasfonde nel lettore l’unica esperienza che egli giudica davvero innovativa di quel periodo: gli iconoclasti del gruppo “Gli uccelli”, con la loro carica protestataria surreale e sciamanica, che si rifacevano al “situazionismo” di Guy Debord, l’idea di una rivoluzione pacifica e creativa, sconfitta dalla P38 e dalla lunga scia di sangue che si sparse con il prevalere del cupo e mortale terrorismo degli Anni Settanta.

Il viaggio termina qui, dopo un girovagare spazio-tempo che si è riempito di mille citazioni enciclopediche, riversate anche a piè pari dalle fonti consultate, come l’Autore si incarica di chiarire.

Dissertazioni minuziose con lo scopo di evidenziare la tortuosità degli eventi, la loro estrema complessità, il concatenarsi tumultuoso di microstorie che affluiscono nella grande corrente di un tempo che, forse, è solo un grande blocco, contenente, in un unico “Tutto”, passato, presente e futuro, senza soluzione di continuità.

E che soltanto per il gioco casuale della meccanica quantistica si palese in un modo piuttosto che in un altro a chi scorre, plasticamente adeso, insieme al flusso universale dello spazio-tempo.

Solo per i sentieri di borgesiana memoria che, qui e là, in maniera randomica, si biforcano, le vite assumono questa o quella direzione, marchiando però il destino inconsapevole dell’uomo biologico, con gioia e, più spesso, sofferenza, nella sua breve ma agitata esistenza terrena.

Saranno le “stimmate” a qualificare quel percorso: se si tratterà di un transito dalla nascita alla morte senza marcare e permeare di sé gli eventi, ovvero se il “segno” lasciato ai posteri resterà degno di nota.

Il ritorno alla “hill”, alla Itaca della serenità quotidiana, è interrotto, come scritto in premessa, dal precipitare della situazione climatica e dal sopraggiungere dell’instabilità del pianeta, con il sole che accelera verso la sua morte.

Otto ed Elyse si interrogano a fondo se le “stimmate”, trovate nel loro peregrinare spazio-tempo, potranno essere trasfuse dagli scienziati nella controversa forma di vita che si staglia all’orizzonte dell’umanità in cerca di una nuova dimensione, quella della commistione uomo-macchina, il cyborg.

La risposta la cercheranno i lettori di quest’opera visionaria: tra accenti lirici di buona letteratura, accanto ad analitiche disquisizioni, emerge la concezione transumanista dell’Autore, con la vita che trascende nell’immortalità.

In tempi di narrativa “prêt-à-porter”, con il libro-oggetto e lo scrittore (o la scrittrice) “squillo” che strizza l’occhio in maniera ruffiana al lettore, per somministrargli il bromuro del pittoresco e dell’effimero, l’ultimo lavoro di Waldemaro Morgese è invece rivolto a quel pubblico che nelle pagine di un romanzo trova interrogativi e cerca risposte.

Una simulazione della complessità dell’esistenza che, alla fine, si risolve in un aumento di individuale consapevolezza.

 


Waldemaro Morgese, Materne notti di luna (Homo Scrivens, Napoli 2023)

[Recensione di Carmine Tedeschi, pubblicata su "Incroci OnLine" il 17 dicembre 2023]

 Immaginate una coppia intellettualmente affiatata in una biblioteca ben fornita di libri storici, biografici, bibliografici, geografici, oltre che di cronache locali di storia patria, di documenti rari, mappe, disegni, foto, carte d’archivio sconosciute ai più. Immaginate questi due che rovistano fra le tante pagine, saltabeccando da un foglio all’altro, non tanto secondo vaghi criteri di ricerca, quanto piuttosto secondo curiosità e gusti personali, o per associazioni di letture fatte, di richiami a quanto già conoscono e reciprocamente si rammentano; su ciò che trovano si soffermano e commentano ad alta voce fatti e personaggi di rilievo storico, ma anche minuzie biografiche, microstorie assai poco note. E alla fine di questo lavoro da api mellifere, ecco che consegnano il loro miele all’arnia della scrittura. Ebbene, se scorrete il libro di Morgese, tutto questo non dovete più immaginalo. Ce l’avete fra le mani.

Chiamarlo “romanzo” suona curioso, a causa della cornice assai tenue: un uomo e una donna che viaggiano con menti erudite. Un puro pretesto, in cui vengono incastonati fatti storici grandi e piccoli, privi di continuità e spesso di contiguità. Eppure il libro risponde esattamente alla definizione del genere romanzo: “racconto misto di realtà e immaginazione”. Dove però l’immaginazione è tutta spostata nella cornice (i due che viaggiano, cercano e commentano); mentre la realtà è appunto quella storico-geografica. Nota e meno nota. In questo modo, proprio come succede in una biblioteca, sparisce ogni continuità di tempo e di spazio, e ciò sulle prime sconcerta il lettore. Il quale comincia a cogliere la struttura e le intenzioni del testo solo quando decide di lasciarsi anche lui portare in volo, senza un ordine prestabilito, da un’epoca all’altra, da una terra all’altra, e infine da un giudizio all’altro circa la rievocata materia.

Giusto per dare un’idea: si passa dalla Magna Grecia di Pitagora alla Roma delle origini, per tornare alla Calabria di Alarico, dei regni romano-barbarici e al collasso dell’Impero Romano d’Occidente. Da qui si gira la pagina per trovare la Napoli aragonese di Alfonso il Magnanimo, e dopo altre poche pagine spunta il Cilento e l’impresa di Carlo Pisacane, col rinvio alla “tempesta del dubbio” di Mazzini circa l’utilità delle rivolte patriottiche fallite. La tappa successiva è il brigantaggio postunitario, seguito da un incontro con un improbabile Mazzini che abita una specie di casale solitario, e con cui i due discutono a cena. Torna poi il Cilento con un immaginario “Mausoleo di Castellabate” cui vengono associate senza troppe distinzioni figure storiche, racconti di magia, streghe, maghi e quant’altro. Il Sessantotto viene rievocato attraverso il teatro d’avanguardia accanto al banditismo sardo, alla violenza degli anni di piombo, all’abolizione dei manicomi. L’ultima parte del libro è occupata dall’angosciosa domanda (affatto nuova) sulle probabilità di sopravvivenza del genere umano e sulle più fantasiose ipotesi di fuga dal nostro pianeta.

Al fondo di questo ripasso a volo di rondine si intuisce una vaga intenzione didattica. Ma è difficile vedere come possa giovare un tale ripasso, portato nella luce della scrittura, di periodi o personaggi storici privi di un “prima” e di un “dopo”.

L’artificio letterario del volo mentale funziona per chi ama il collezionismo erudito, che pure è una gran bella cosa. Per ogni altro lettore risulta alquanto stucchevole.

 

 

Viaggio tra “Materne notti di luna”

[recensione di Giusy Carminucci, pubblicata su “Fax Mola” del 2 marzo 2024, Pag. 18]

Romanzo di Waldemaro Morgese tra storia, filosofia e immaginazione pensando al futuro sostenibile

 «Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza!».

Questo è il motto di una delle due dame che Otto ed Elyse, prima di lasciare Castellabate, incontrano in un’osteria. Accade nel paragrafo “Il Mausoleo delle forti passioni”, all’interno del capitolo “Meridies”. Quello del Mausoleo è il paragrafo che più di tutti affascina l’autore, perché è una sorta di costruzione immaginaria, dove sono esaltate tutte le passioni relative alla libertà e alla giustizia, che sono assolutamente «nemiche dei falsi sentimenti e delle stantie convenzioni». Nel Mausoleo c’è posto anche per le cosiddette streghe, per le donne, per i reietti e soprattutto per i vinti, in quanto, secondo Otto ed Elyse, il nostro giudizio deve essere governato non dal fatto che uno abbia vinto o perso ma dall’essere stato un sublime, un generoso, uno che obbedisce ai moti profondi della mente e del cuore.

Il romanzo, iniziato nell’aprile del 2021 e completato quasi un anno e mezzo dopo, aveva come titolo provvisorio “Epopea”. Poi mutato in “Materne notti di luna”.

L’autore definisce il genere utilizzato affine allo storico-fantastico, ma secondo la mia chiave di lettura, sicuramente, si posiziona tra il saggio filosofico e il diario di un viaggio insolito e complesso.

Di un viaggio, direi, forse anche autobiografico: dimensioni letterarie in cui Otto ed Elyse sono sì personaggi transumani e fantastici, ma con molte sfaccettature affini alla personalità del nostro autore.

Esploriamone lo spessore, dunque.

Otto ed Elyse vivono su una collina che lambisce il mare. Elyse, la compagna di Otto, è una donna che ama i racconti fantastici e avventurosi. Otto condivide con lei le problematiche relative all’umanità: l’Aldilà, ma anche l’Al di qua e si pone il problema su come si possa attivare un contatto con chi non c’è più.

Elyse è scettica nei confronti di questa problematica che fa emergere Otto, così come delle sue suggestioni relative all’occultismo e alla reincarnazione.

Sono personalità complesse e affascinanti, i due protagonisti. Personalità ricche di mistero. Personalità desiderose di sempre nuove scoperte: anche per questo intraprendono un viaggio.

È, quello del viaggio, uno dei nuclei tematici che questo romanzo affronta, tra gli altri: la madre terra, un contenuto epico trasfuso nelle vicende storiche, le figure di grandi personaggi, attraverso le loro passioni e i loro coraggiosi approcci all’esistenza. Il tutto legato da un solido e “curioso” Fil Rouge che lega le tappe del viaggio: una precisa scansione di flusso temporale, che va dall’ “Aurora” al mezzogiorno, “Meridies”, al tramonto, “Occasus”. Sono i tre momenti chiave di un’intera giornata, quelli che segnano la ciclicità della vita quotidiana, ma anche i tre momenti chiave di “materne notti di luna”, che alla Storia e non alle storie affida l’orientamento dell’itinerario che Otto ed Elyse seguono.

Il Nostro, infatti, quasi come se l’intera vicenda si svolgesse nell’arco di una sola giornata, lascia che questa scansione sintetizzi la storia di una intera civiltà, che trova la sua ragion d’essere tra il nascere, il rifulgere e il tramontare.

Abbiamo detto che uno dei temi principali è quello del viaggio ed è proprio lo scopo del viaggio, la disperata ricerca di quello che resta della vita e dell’essenza della Madre Terra, ormai giunta alla sua ultima fase di sopravvivenza a causa di una insidiosa glaciazione, a dare il senso e significato alla ricerca che l’Autore compie con Otto ed Elyse, ma, anche, contemporaneamente con ciascuno di noi.

I due protagonisti vivono in simbiosi con la Madre Terra e in ogni racconto emerge il loro essere dentro il respiro, dentro l’energia, dentro l’espressione stessa della Madre Terra. Otto ed Elyse sono due innamorati attenti a quello che è il contatto con il mondo. Proprio in questo scenario, il loro vegliare nella notte è solo un’opportunità che si danno, per sorprendere il sopraggiungere dell’alba e quindi di una nuova opportunità di vita.

In “Materne notti di luna” il contenuto epico viene permeato dalle grandi passioni che caratterizzano l’approccio all’esistenza dei due protagonisti. Il messaggio di fondo che essi vogliono mandare è che, come dice l’Autore stesso, «si può resistere alle dissoluzioni e alle difficoltà imposte dalla travagliata esistenza contemporanea (solo) nutrendo e coltivando forti passioni e coraggiose volontà».

L’originalità del romanzo è proprio in relazione alle figure dei due personaggi, perni dell’intera narrazione, in una sorta di interlocuzione, quasi complice, che l’autore riesce a stabilire come ponte tra i protagonisti e il lettore, tra i personaggi della fantasia e quelli della realtà, in modo assolutamente reale. È come se chi legge, mentre legge, riuscisse ad attraversare la membrana che separa la realtà storica da quella verosimile; ad entrare, come protagonista, nel viaggio e a visitare, insieme a loro, i luoghi proposti da Otto ed Elyse, diventando Otto ed Elyse. Questa sostituzione ideale avviene, perché ci si avventura e ci si sente spinti in una sorta di “pellegrinaggio laico della speranza”, come lo definisce Waldemaro Morgese.

Per il lettore/protagonista è bello scoprire che Otto ed Elyse si spostano, partendo da questa non identificabile collina, che, per chi conosce l’Autore, potrebbe essere una proiezione del Poggio delle Antiche Ville, territorio d’elezione del Nostro.

Da un’attenta lettura emerge un’altra curiosità: qual è il mezzo che Otto ed Elyse utilizzano e ci fanno utilizzare per poterci muovere e spostare in questo viaggio fantastico?

Non è possibile ritrovare il nome di un mezzo di trasporto preciso. L’intero racconto non è, infatti, connotabile cronologicamente: quello che Morgese ci fa fare attraverso le sue parole, in questo romanzo, è un viaggio attraverso la conoscenza, razionalmente volando sulle ali di una “fantasia concreta”, senza alcuna nota moraleggiante.

La letteratura creativa, infatti, per il nostro autore non deve avere un valore didascalico. “Materne notti di luna” non deve e non vuole essere una di quelle opere che propongono l’ammaestramento scientifico, dottrinario o morale. La sua esigenza espositiva non deve avere l’intento di temperare con l’arte l’aridità degli insegnamenti.

La scrittura è, sicuramente, precisa nelle descrizioni, che, però, lasciano il lettore libero di immaginare i contesti.

La qualità del lessico è adeguata al contenuto e l’uso di alcuni termini è utile solo a veicolare meglio i significati dei vari racconti.

Si comprende bene come, il suo, sia uno stile unico e autentico, organizzato attraverso un linguaggio formale, ricco di aggettivi, similitudini e metafore, articolato in dialoghi, descrizioni, riflessioni.

Val la pena porre in evidenza il messaggio che l’Autore lancia all’interno di questo libro, in merito all’importanza che riveste la biblioteca di oggi, nonché al ruolo svolto dal Rinascimento nella cultura del Mezzogiorno. Risulta particolarmente importante la citazione della Dogana, perché nel descriverla Morgese dà importanza a quelli che sono gli elementi di un patrimonio culturale materiale legati alla cultura vera e profonda di un territorio e di una popolazione, che non sono necessariamente configurabili in un libro, qual è, ad esempio, la transumanza. Elegante escamotage dell’Autore il mettere in evidenza che, per secoli, quelle vie, che ora anche Otto ed Elyse stanno percorrendo, sono state motivo di valorizzazione delle risorse di un territorio e, quindi, elemento fondante di un vero e proprio Rinascimento culturale, in quanto portano all’esaltazione delle bellezze dei luoghi e degli strumenti della conoscenza.

In “Occasus”, Otto ed Elyse concludono il loro viaggio, tornando sulla loro amata collina. È in questo capitolo che i due si pongono il problema se restare sulla Terra, ormai avvolta da una maschera di ghiaccio o seguire gli umani nella nuova avventura delle stazioni spaziali. È qui che nasce il concetto, che l’autore lascia aperto e che collega ad un’immagine molto forte e profonda: il concetto di trasmigrazione e l’immagine dei ‘cercatori di stimmate’.

«I cercatori di stimmate – dirà nel suo libro Waldemaro Morgese – sono i conservatori della memoria e hanno l’obbligo di seguire l’umanità in qualsivoglia forma e ovunque essa decida di andare».

La trasmigrazione, essendo il passaggio da una situazione ad un’altra, è il ‘luogo’ in cui si intrecciano disquisizioni sulla vita e sulla morte; sull’interpretazione da dare alla storia. Qui trovano spazio le caratterizzazioni con cui identificare le varie vicende, che si sono susseguite nel tempo. Le stimmate vengono, in questo contesto, ad assumere il ruolo di garanzia, capace di consentire al viaggiatore, che fin qui ha percorso una avventura insieme ai protagonisti, di considerare che il cambiamento ha sempre importanza e che la vita deve avere un significato di libertà e deve essere capace di divincolarsi da qualsiasi costrizione sul passato. È la garanzia che non si deve cadere nell’oblio del dimenticatoio identitario.

“Materne notti di luna” è un movimento della mente e del cuore attraverso le molteplici letture che, nell’arco dei suoi anni, Waldemaro Morgese ha frequentato e che lascia riaffiorare alla sua memoria.

«Sapere aude» è il motto e il monito che Otto lascia a coloro che hanno intrapreso il viaggio con lui e la sua Elyse, attraverso il senso del proprio personale essere protagonisti del proprio presente, che è foriero del futuro sostenibile di una intera collettività.


Condividi pagina

Share by: