IL TEMPO UGUALE: recensioni a stampa

IL TEMPO UGUALE: recensioni a stampa

Si riportano, nell'ordine, le recensioni di: Daniele Maria Pegorari, Mary Sellani, Andrea G. Laterza, Teresa Gallone, Annalisa Boni.

 E IL BIBLIOTECARIO FA I CONTI COL WEB

Il romanzo di Waldemaro Morgese

Ogni libro di Morgese è una tappa di una riflessione autobiografica, fatta attraverso episodi di vita familiare, professionale, affettiva o politica, ma anche di avventure strampalate, arrampicate sulle pagine della letteratura creativa e saggistica più amata dall’autore. Protagonista di questo romanzo è il bibliotecario Sergio, ma le sue relazioni sembrano coinvolgere ugualmente gli affetti reali e le storie ricavate dai romanzi d’avventura, dai libri di viaggio, dai manuali di scacchi, dai trattati di fisica e dalle scatole di documenti che gremiscono la casa di campagna. I personaggi di Kipling, di Molnar, di Guido da Verona, di Svevo e altri si confondono nella mente di Sergio con le persone realmente incontrate da Morgese nei viaggi internazionali compiuti per lavoro o per motivi politici. Il ricordo delle esperienze politiche, col connesso bilancio delle utopie e dei tradimenti che hanno segnato tutta una generazione, è un tema che torna frequentemente nei libri di Morgese e non poteva mancare in questo romanzo sul tempo, sul suo svolgersi senza variazioni, «anno dopo anno, generazione dopo generazione».

In Sergio questo pensiero dà origine a un giudizio sull’insensatezza della Storia, in quanto il tempo sarebbe una convenzione umana e non possiamo esser certi di distinguere ciò che esiste da ciò che è frutto di fantasia. Ma si insinua, a un certo punto, il dubbio che la ‘derealizzazione’ del mondo sia un meccanismo di distrazione, un gioco – come gli scacchi – fondato su abilità geniali, che nasconde, però, l’impossibilità di incidere nel reale. Il dubbio si affaccia, non a caso, in una riflessione sulle virtualità del capitalismo finanziario e sui giochi di ruolo di alcune piattaforme web, a cui il bibliotecario si era appassionato.

Là dove tutto è possibile nulla accade realmente, là dove si ammettono diversi regimi di temporalità la somma dev’essere sempre zero: come il conto della ‘seconda economia’ lo salda l’economia reale, così il conto della ‘seconda vita’ lo paga la vita reale, fatta di donne e uomini in carne e ossa. Sintomatico è che per reagire allo sgomento che lo prende quando pensa alla finanza, Sergio decide di fare «una bella passeggiata» nella concretezza della sua «campagna». Ma è soltanto un attimo: di fronte ai dubbi sul bilancio politico e affettivo della sua vita, Sergio rimane sospeso, bloccato nella preparazione di un gesto che non compirà.

Inventare storie, in effetti, non è la stessa cosa che cambiare la Storia.

 [recensione di Daniele Maria Pegorari apparsa su “La Gazzetta del Mezzogiorno” di giovedì 16 giugno 2017].

 

IL TEMPO UGUALE

Ogni nuovo libro saggistico o narrativo di Waldemaro Morgese, biblioteconomo ed editorialista del 1945, è la nuova tappa di una riflessione autobiografica inesausta, fatta attraverso un prisma. Alcune facce rivelano episodi della sua vita familiare, professionale, affettiva o politica; altre facce chiedono il soccorso alla fantasia e spingono i ricordi e le idee sociali oltre i limiti della prassi e dell’autobiografia, per farne romanzi brevi, avventure strampalate, arrampicate nella letteratura creativa e saggistica più amata. Invero anche i suoi libri di taglio professionale o giornalistico sono piuttosto ‘intimi’, scritti con la passione di chi ha messo in gioco se stesso per le cose in cui credeva.

Che abbia vinto o perso è un altro conto, quello che importa davvero è che, finché Morgese lavora ai suoi libri, noi avremo qualcosa su cui ragionare, come in una lenta, gratificante partita a scacchi. La copertina di questo romanzo riproduce proprio una scacchiera, con gli scacchi periclitanti o già abbattuti, allusiva non solo a una delle passioni del protagonista, l’ottantenne Sergio, ma anche ai movimenti e agli incastri di questa macchina narrativa, nella quale entrano, accanto ai non numerosi personaggi, anche i romanzi d’avventura, i libri di viaggio, i manuali di matematica e i trattati di fisica, e anche i documenti classificati e custoditi nelle scatole che gremiscono la biblioteca della casa di campagna di Sergio. I personaggi di Rudyard Kipling, di Ferenc Molnar, di Guido da Verona, di Italo Svevo e altri ancora si muovono nella mente del vecchio bibliotecario e prendono la stessa consistenza delle persone incontrate nei viaggi che l’autore ha realmente compiuto durante la sua vita, dall’Albania agli Stati Uniti, ora per lavoro, ora per motivi politici. Il ricordo delle esperienze politiche, col connesso bilancio delle utopie e dei tradimenti che hanno segnato la generazione dei sessantottini, è un tema che torna spesso nei libri di Morgese e non manca nemmeno in questo romanzo sul tempo, sul suo svolgersi senza variazioni, «anno dopo anno, generazione dopo generazione» (p. 90).

E’ un pensiero che, in Sergio, si collega alla convinzione che non esista nemmeno la morte e non per una speranza metafisica, ma per il suo opposto, cioè per l’applicazione anche all’uomo della «formula» scientifica per cui «nulla si crea e nulla si distrugge» e «la materia si trasforma in energia» (p. 89). Questo principio dà origine al sorprendente punto di vista dell’io narrante che può continuare a raccontare ciò che accade anche dopo la morte.

Se il tempo è una convenzione umana, allora non ha senso distinguere ciò che esiste da ciò che è fantasia e i giochi di ruolo degli internauti su ‘Second Life’, di cui Sergio è appassionato, hanno la stessa dignità degli accadimenti storici. Tuttavia inconsapevolmente Morgese connota Sergio con le cifre dell’irresolutezza e dell’inconcludenza, se è vero che, tanto nella prima quanto nella seconda parte del romanzo, si colgono dei passaggi che non possono non colpire il lettore.

Nella prima parte, a proposito dell’ultima avventura virtuale creata per il suo avatar, Sergio scrive: «Il guaio era che questa storia non sapevo come concluderla. Infatti col mio spirito inquieto e sempre dubbioso, difficile a esaltarsi, non conclusi la storia in modo chiaro ed edificante, piuttosto incapsulai, per così dire, tutte le intricate vicende di Marcos in una bolla di indecisione» (p. 45). Mi pare che qui si insinui involontariamente il dubbio che la fascinazione dell’ex sessantottino per la virtualità, per la derealizzazione del mondo non sia che un meccanismo di distrazione, l’abile invenzione di un gioco intelligentissimo – come gli scacchi – fondato su abilità non comuni e talvolta persino geniali, che sublima il fallimento di un progetto, l’incapacità di incidere effettualmente. Il secondo passaggio che rafforza questa mia impressione riguarda l’improvvisa melanconia provocata da Marta, la giovane compagna di Sergio, quando gli dice: «Perché non trovi anche un gioco per me, per esempio usare il pallottoliere per guadagnare in borsa? Almeno la tua cultura sarà utile per fare un po’ di soldi» (p. 62). Qui inizia una breve riflessione sul capitalismo finanziario verso le cui virtualità il bibliotecario prova fastidio e stabilisce spontaneamente un collegamento con l’astrattezza delle piattaforme web.

Là dove tutto è possibile nulla accade realmente, là dove si ammettono diversi regimi di verità e temporalità la somma dev’essere sempre zero: come il conto della ‘seconda economia’ lo salda l’economia reale, così il conto della felicità della ‘seconda vita’ lo paga la vita reale, fatta di donne e uomini in carne e ossa. Sintomatico è che per reagire al «cruccio», allo sgomento che improvvisamente lo prende quando pensa alla borsa valori, Sergio decide di fare «una bella passeggiata nella sua campagna» (p. 63: in cui è riconoscibile il luogo dell’anima di Morgese, il ‘poggio delle antiche ville’ di San Materno).

Ma è soltanto un attimo: Sergio, come già il protagonista de Il discobolo (il romanzo di Morgese edito da FaLvision nel 2015, che era proprio un bilancio generazionale), è irresoluto, di fronte ai problemi complessi e ai dubbi sul bilancio politico e affettivo della sua vita, rimane sospeso, bloccato nella preparazione di un gesto che non compirà mai. Probabile che questo carattere dei personaggi di Morgese rivendichi il bisogno di sospendere il giudizio, come per una sorta di epoché che è l’habitus di una prudente moderazione, l’affermazione di un affrancamento dai condizionamenti politici, il sogno di costruire liberamente il proprio destino individuale, posto che sia diventato impossibile cambiare le sorti reali dell’umanità o anche solo di una porzione significativa di essa. Inventare storie, in effetti, non è la stessa cosa che cambiare la Storia.

[recensione di Daniele Maria Pegorari apparsa su “Incroci” n. 36 del luglio-dicembre 2017].

 

LA MENTE OLTRE IL TEMPO E I CONFINI

Di Waldemaro Morgese, saggista, scrittore ed editorialista di EPolis Bari, è uscito di recente “Il tempo uguale” (Les Flaneurs edizioni, 96 pagine, 10 euro), un testo che è la terza tappa di una trilogia narrativa a sfondo probabilmente autobiografico, dopo “Multitask” (Edizioni dal Sud, 2014) e “Città buie” (Il Grillo editore, 2015). E come i precedenti anche questo libro sembra fatto di libri, tanti sono i rimandi alla letteratura di tutti i tempi che si ritrovano nel racconto del protagonista, Sergio, lettore assiduo fin da bambino, cresciuto in un ambiente familiare colto, in una casa ricca di libri accumulati da generazioni. Nulla di meglio per accompagnare la formazione di un fanciullo che aveva fame di sapere e di avventure intellettuali, potendo contare sul privilegio privato di nutrire la sua mente nella vasta scelta tra letteratura alta, libri per l’infanzia, volumi di scienza, ed anche fumetti, tra i quali il preferito era Tex Willer. E se è vero, come diceva il grande Borges, che “i libri sono crocevia e confluenza di innumerevoli relazioni”, Il tempo uguale racconta episodi della lunga vita di Sergio, storie che lui rievoca durante gli anni trascorsi nel suo ritiro di campagna, e che si confondono quasi con le sue letture di altre storie, tutto preso com’era dal desiderio di osare nell’ignoto,

d’inoltrarsi in territori sconosciuti, giacché la lettura dona appunto il piacere di far assaporare anche ciò che appartiene ad altri, all’alterità. Finché, nell’età matura, quando ormai l’impegno di Sergio nella vita attiva è terminato, per non appiattirsi nel disincanto e nella mancanza di stimoli propri della senescenza, egli scopre, oltre il piacere della lettura, pure quello della “seconda vita” virtuale che l’informatica oggi può offrire attraverso la costruzione di storie fantastiche da collocare liberamente nel passato, nel presente o nel futuro: una specie di gioco imbastito con altri internauti con cui ipotizzare persino l’avvento di una specie umana resa immortale grazie a scoperte scientifiche avveniristiche, le quali consentono per esempio l’inserimento nel corpo umano di protesi artificiali in sostituzione di organi malati. Se dunque - come intuisce Sergio - la malattia e la morte possono essere vinte, ciò vuol dire che l’immortalità sconfiggerà anche il tempo.

Su questa base concettuale, fondata sulla possibilità della mente di navigare nei mondi virtuali, sta il significato del titolo del libro di Morgese, Il tempo uguale, dove il tempo non scorre in maniera lineare, per cui, forse, il tempo non esiste affatto, ma è solo una nostra percezione. Un fenomeno considerato in

fisica quantistica - secondo cui spazio e tempo non sono altro che energia allo stato puro, indistinguibile tra passato, presente e futuro - che consente dunque di osservare il nostro lascito, ovvero l’esistenza che continua nei ricordi che abbiamo abbandonato, e nella vita dei nostri cari rimasti dopo di noi. Tale è appunto

il finale del libro in cui Sergio si racconta dopo la sua dipartita, in un monologo immaginario verso il proprio figlio. Chissà, forse tutto ciò è un dispositivo inventato come strumento consolatorio, pertanto, a fine lettura, non sappiamo se il bisogno di raccontare dell’autore, come in genere l’arte di scrivere storie,

sia originato dalla volontà di ogni scrittore di amare la vita anche quando si sta per perderla, oppure dal timore di fare un bilancio vero e proprio, di intraprendere cioè un viaggio d’introspezione nella propria interiorità, in un movimento dal buio verso la luce, un chiaroscuro nelle crepe dell’esistenza con cui, prima o poi, tutti noi umani dovremo fare i conti. A questo punto conveniamo con Borges che, “siccome la nostra vita è un enigma, a risolverla vale soltanto un incanto o una fiaba”.

 [recensione di Mary Sellani apparsa su “EPolis Bari” del 15 dicembre 2016].

 

IL TEMPO UGUALE

Un provetto saggista passato con successo alla narrativa. Waldemaro Morgese, dopo aver pubblicato “Multitask”, “Città Buie” e “Il discobolo”, lo scorso 18 novembre ha presentato il suo nuovo romanzo “Il tempo uguale” (pagg. 90, Les Flaneurs Edizioni) presso la Libreria Culture Club Cafè di Mola, alla presenza di un ampio pubblico e la partecipazione di Antonella Linsalata, docente; Maria Michela Brunetti, pittrice; Vincenzo D’Acquaviva, scrittore; con le letture di alcuni brani a cura dell’attrice Paola Martelli.

Il libro, che si avvale dell’illustrazione dei preziosi disegni della prof.ssa Antonella Linsalata, si divide in due parti: “Le storie che mi hanno attraversato” e “Le storie dopo di me”.

La prima parte è un tuffo nella memoria di Sergio, l’io narrante, alter ego di W. Morgese. Una memoria che si dipana attraverso il vivo ricordo delle letture dell’infanzia e dell’adolescenza, molte ritrovate nella vasta biblioteca della casa di campagna.

Ed è quella biblioteca, autentico scrigno di un passato indispensabile per leggere il futuro, che consente a Sergio, ormai giunto alla vecchiaia, di riandare indietro nel tempo e di riannodare i fili di una vita vissuta si potrebbe dire, con un termine ormai desueto ma sempre efficace, da “intellettuale organico”.

Un intellettuale impegnato a capire e a parteggiare per le lotte degli ultimi, come nel periodo romano dei primi Anni Settanta, quando Sergio si schiera con i baraccati della borgata dell’Acquedotto Felice e ripensa a distanza di tanto tempo alle parole di un “prete combattente” e al suo anatema contro i ricchi dell’epoca. Le memorie di Sergio non si limitano ai libri dell’età verde, ma riportano alla sua mente viva di anziano, attivo e partecipe, i tanti viaggi vissuti nell’età matura. Due su tutti: quello nel Paese delle aquile, l’Albania, e quello in America.

L’Albania, vissuta da Sergio come la “madre affettiva” di tutti i suoi viaggi, viene descritta come un Paese bellissimo, ricco di paesaggi da capogiro, di incredibili reperti storici e di arte diffusa. Il suggello ai suoi viaggi, al di là dell’Adriatico, viene messo dall’incontro con il romanziere albanese Skender Drini e con le grandi platee di giovani italiani ad ascoltarlo grazie allo slancio organizzativo di Sergio.

Negli Stati Uniti, alle prese con un progetto multiculturale tra Canada e Russia, Sergio ritrova uno dei suoi ricordi più cari: in un teatro newyorchese, mentre assiste ad una pièce teatrale, si commuove pensando al nonno materno che, nel lontano 1924, diresse al National Theatre la “Sonnambula”, con la nonna soprano.

I ricordi tangibili di Sergio si intrecciano però con una seconda vita, un’esistenza parallela che si svolge nella mente dell’uomo: pur nella tranquillità del suo “buen retiro” nella campagna pugliese, egli non disdegna di intraprendere viaggi nel tempo e nello spazio, forgiando personaggi immaginari eppure per lui concreti. “Il vantaggio eccezionale è nella potenzialità immensa delle possibilità di vita dei miei personaggi: sono sovrumani, perché posso fargli fare qualunque cosa, possono essere i protagonisti di trame che costruisco a volontà. Se le fermo sulla carta o in un file, le loro vicende valgono quanto quelle vissute concretamente”.

Marcos è l’essere impermeabile alla dimensione spaziale, l’eroe trans-umano che cammina sul filo del tempo: dagli “anni di piombo, da solo, in un mondo popolato di dinosauri per poi proiettarsi nel Tremila.

In un’epoca dilatata dalla scienza verso l’immortalità, che ha ibridato gli uomini in esseri robotici simil-umani, Marcos è il post-umano vittorioso sulle malattie e la morte e allo stesso tempo il Robin Hood del futuro che lotta contro i custodi silenziosi dei segreti dell’ibridazione e i proprietari anonimi delle società tecnologiche padroni del trans-mondo, la società non più umana del Tremila.

I giochi della mente di Sergio devono però fare i conti con l’incedere dell’età: l’alter ego dello scrittore capisce che “ora il problema è di far decantare la mia vita, non tanto di implementarla o rinnovarla”.

Ed è così che, complice un amore improvviso per Marta, una giovane donna, Sergio ottiene un grande dono: un figlio. Spartaco, questo è il nome del bimbo: come auspicio per una persona fiera, coraggiosa, generosa, ribelle.

Quel bambino è la luce inaspettata che rischiara la vita di Sergio giunta alla sua ultima fase: “un figlio è luce pura, quindi rischiara tutto attorno, anche ciò che sembra già chiaro”.

Ed è quel figlio, che crescendo raccoglierà l’eredità intellettuale e morale di Sergio, a dare al protagonista del romanzo un’intima serenità. Quella che gli consente di travalicare il suo viaggio finale con una solida certezza: la vita continua nella memoria degli altri, in un tempo che non esiste, e che si snoda sempre uguale a se stesso per fecondare nuove esistenze.

[recensione di Andrea G. Laterza apparsa su “Città Nostra” n. 159 del dicembre 2016].

 

WALDEMARO MORGESE PRESENTA IL NUOVO ROMANZO “IL TEMPO UGUALE”

Collaborazione congiunta fra Libreria Barcadoro e Presidio del Libro di Rutigliano

Riprendono in veste nuova e interdisciplinare i consueti appuntamenti letterari patrocinati dalla Libreria Barcadoro, ora in collaborazione con il Presidio del Libro di Rutigliano. Protagonista dell’evento di giovedì 9 febbraio scorso lo scrittore saggista Waldemaro Morgese, già ospite lo scorso anno con l’opera “Città buie” (Il Grillo editore), ha presentato il romanzo breve “Il tempo uguale” (Les Flãneurs edizioni).

L’impeccabile lettura di Paola Martelli ha impreziosito l’incontro con il contributo di Antonella Linsalata, docente di Storia dell’Arte e illustratrice. L’evento, svolto presso il ristorante La Vite Bianca, è stato condotto e moderato dalla dottoressa Angela Redavid. Presenti anche Paola Borracci, responsabile del Presidio del Libro di Rutigliano e l’editore Alessio Rega.

L’incontro è stato aperto in medias res, privo della canonica introduzione, dalla lettura di uno stralcio dell’opera. Il passo ha presentato all’uditorio Marcos e Mara, rivoluzionari attori di una storia di assoluta bruciante passione. L’assenza di un preludio ha contribuito a catalizzare l’attenzione del pubblico e a immergerlo in un’atmosfera fluida, resa ancor più suggestiva dalla proiezione delle illustrazioni di Antonella Linsalata.

La presenza dei disegni, fatto inconsueto e innovativo, ha svelato la doppia natura dell’opera di Morgese, non un semplice romanzo accompagnato da illustrazioni ma intreccio fra parole e immagini. Incalzato dalla moderatrice, l’autore ha condiviso la sua intenzione di creare un “libro nel libro”, di far sì che il tradizionale sviluppo narrativo fosse materia di creazione di un ulteriore nucleo fatto di immagini. Parola e immagine si fondono e allo stesso si discostano, caratterizzate ognuna dall’individualità dei rispettivi autori e dal rapporto di questi con i personaggi dell’opera.

La liquidità del romanzo di Morgese si riflette anche nel protagonista, Sergio, uomo fatto di storie e creatore di storie, fermo fisicamente in un contesto quasi atemporale, il suo rifugio di campagna e lanciato con la mente avanti e indietro nella linea del tempo, alla continua ricerca di storie vere, inventate, perdute nella memoria. La razionalità e la fantasia del protagonista non si combattono fra loro ma si compenetrano. La capacità logica di Sergio è madre di speculazione che portano la mente lontano. La carica delle riflessioni ha bisogno di mezzi di espressione e di concretizzazione. Così nascono i personaggi del personaggio, creazioni del protagonista, simboli di viaggi in avanti e indietro nel tempo e nella memoria. A questo proposito Antonella Linsalata ha condiviso con il pubblico la sua propria visione del protagonista del romanzo di Morgese. A suo dire Sergio potrebbe essere ben rappresentato da una scacchiera, simbolo di razionalità. Sul piano della scacchiera i pezzi non sono posizionati ma in movimento e non monocromatici, metafora della fantasia in perenne fermento del protagonista. Questa visione è stata fermata in illustrazione e va a costituire la copertina del romanzo. Il lavoro di Antonella Linsalata non si è limitato alla copertina ma si snoda per tutta l’opera con la ricorrenza di figure topiche: la libellula variopinta, altro simbolo della fantasia di Sergio e animale ricorrente all’interno del romanzo, la figura materna, personaggio chiave, donna amata dal protagonista, il bambino, frutto dell’amore fra Sergio e la fanciulla. Nelle illustrazioni di Antonella Linsalata madre e figlio formano una monade separata dalla figura del padre, lontano ma sempre graficamente proteso verso gli altri due personaggi.

Pur essendo fermo, Sergio può viaggiare nel tempo. Il suo corpo è immobile nella biblioteca ed è proprio questo luogo a dargli allo stesso tempo fondamenta e mezzi per viaggiare. La cultura forma il senso critico e la curiosità, la carta stampata ferma il passato per sempre. Così il protagonista di Morgese vive saltando fra gli episodi del passato che la lettura gli rammenta e le riflessioni sul futuro che lo inducono a creare altre storie e a indovinare come il tempo si evolverà quando lui sparirà, quando l’uomo si estinguerà. Nelle illustrazioni di Antonella Linsalata ricorrono a questo proposito altre due immagini simbolo, i libri che si dispiegano verso l'orizzonte lontano e la mongolfiera. I libri vanno a rappresentare le fondamenta dell’individualità ma anche la spinta verso mete indefinite, quelle della fantasia e della speculazione, fuori dal tempo e dallo spazio. Qui l’illustratrice ha collocato il figlio di Sergio, diretta emanazione del padre, viaggiatore anche lui con la mente e con il corpo.

Dopo ulteriori letture di stralci del romanzo accompagnate dalle illustrazioni di Antonella Linsalata, la moderatrice Redavid ha spostato l’attenzione su ciò che a suo dire renderebbe attuale il romanzo di Morgese, gli accenni alla realtà virtuale e alla speculazione filosofico scientifica.

L’autore ha definito inevitabile la presenza della realtà virtuale perché parte del reale. La realtà della rete non è tangibile ma presente, ha le sue dinamiche e le sue leggi e permea la vita di ognuno. I personaggi creati da Sergio vivono vera vita nella realtà virtuale che rimescola e dà nuova vita alle sue speculazioni. Secondo Morgese la vita della rete non è nient’altro che dimensione di protezione dell’individuo e di reificazione delle proprie fantasie, complice anche l’assenza di tempo determinato e scandito. Di qui anche la presenza di riferimenti scientifici e filosofici all’esistenza e al ruolo del tempo nella vita umana e nell’universo.

Il gioco fra sviluppo diacronico della narrazione e speculazione proiettata verso un orizzonte temporale indefinito ha colpito Paola Borracci. Il responsabile del Presidio del Libro di Rutigliano ha definito il romanzo di Morgese come intreccio di generi, punto di partenza per riflessione che abbraccia varie discipline. In virtù di questa natura composita anche la presentazione dell’opera è stata organizzata in modo interattivo, capace di coinvolgere il pubblico in una fruizione di più ampio respiro.

Il procedere dell’evento non ha fermato la creatività di Antonella Linsalata che in conclusione ha mostrato un’illustrazione nata in itinere, una triade di personaggi legata all’immagine del libro.

[recensione di Teresa Gallone apparsa su “Rutiglianoonline” n° 6 del 18 febbraio 2017, pag. 5].

 

AVVINCENTI SCHEGGE DI MEMORIA CHE METTONO AI FERRI CORTI PROUST

Al centro dei ricordi, il rapporto tra l’io e la storia, il tempo privato e i tempi storici

 ‘Tempus fugit’, ‘non si ha più tempo’. Queste frasi fanno ormai parte della nostra quotidianità sebbene dovrebbero invogliarci a prendere e trovare il tempo utile e necessario per riflettere. Le riflessioni possono essere di varia natura e vertere sul nostro percorso personale e/o ponderare sul tempo storico che ci è dato attraversare.

Il rapporto speculare tra l’io e la storia, il tempo privato e i tempi storici è al centro dell’ultimo romanzo di Waldemaro Morgese ‘Il tempo uguale’. Il tempo è infatti il protagonista principale di questo scritto che è costruito intorno a Sergio, il narratore omniscente, e ai suoi ricordi che si snodano lungo un periodo che va dalla fine degli anni cinquanta fino ai nostri giorni. Questi ricordi, tuttavia, rimandano ad altri periodi storici quali l’impero romano o la seconda guerra mondiale. Queste schegge di memoria affiorano in superficie quando Sergio rievoca le letture fatte in varie fasi della sua vita.

I libri sono indiscutibilmente i deuterogonisti di questo romanzo abilmente costruito in due parti: la prima presenta otto capitoli, la seconda tre. Le letture del bimbo, del giovane e uomo Sergio offrono al lettore un doppio sapore che va aldilà della ‘madeleine’ di Proust. La valenza duplice giace principalmente sul legame intrinseco che esiste tra i ricordi/la memoria / le memorie della voce narrante e il Tempo. Il ricordare e raccontare svelano al lettore l’io privato di Sergio e il tempo/tempi storici legati alle diverse fasi della sua vita. Ai momenti storici si affiancano ugualmente molteplici luoghi: la casa familiare, Roma, l’Albania, gli Stati Uniti per terminare nella casa di campagna che diventa il locum per eccellenza in quanto depositario di tutte le memorie anche perché possiede una ricca biblioteca. Quest’ultima diviene il locum sacrum della casa e territorio prediletto dal figlio di Sergio avuto in tarda età. Qui il giovane si isola, legge, impara, riflette. I passaggi dedicati alle letture del figlio di Sergio fanno eco a delle riflessioni dello sfortunato poeta russo del secolo scorso Ossip Mandelstam. In una raccolta di sue considerazioni ‘Il rumore del tempo’, scritte nel 1923 in Crimea, egli consacra un capitolo alla biblioteca familiare. Mandelstam afferma che la biblioteca della prima infanzia è un compagno dell’intera vita di una persona. La disposizione degli scaffali, le varie collezioni di opere fanno parte dell’immaginario di un individuo. Mandelstam proferisce anche che, nel suo ricordo della biblioteca di famiglia, lo scaffale più basso offriva sempre un’immagine di caos: i libri sembravano essere adagiati su delle rovine ma via via che lo sguardo si spostava verso l’alto, i libri erano ben posti e ordinati.

Waldemaro Morgese ha anche immaginato un scenario post mortem in cui forse si ritrova un senso alle cose ritornando a leggere e a meditare. Tutti coloro che si sono formati grazie alle letture devono essere grati a Waldemaro per averci donato delle pagine squisite e un’illusione d’immortalità.

[recensione di Annalisa Boni apparsa su “Quotidiano di Bari” di venerdì 9 giugno 2017].

 

“IL TEMPO UGUALE” DI MORGESE CHE CI FA SOGNARE L’IMMORTALITÀ

Il rapporto speculare tra l’io e la storia, il tempo privato e i tempi storici è al centro dell’ultimo romanzo di Waldemaro Morgese, Il tempo uguale (Les Flaneurs Edizioni, Bari 2016). Il tempo è infatti il protagonista principale, costruito intorno a Sergio e ai suoi ricordi.

Le letture del bimbo, del giovane e uomo Sergio offrono al lettore un doppio sapore che va aldilà della ‘madeleine’ di Proust. Il ricordare e raccontare svelano al lettore l’io privato di Sergio e il tempo/tempi storici legati alle diverse fasi della sua vita. Ai momenti storici si affiancano ugualmente molteplici luoghi: la casa familiare, Roma, l’Albania, gli Stati Uniti per terminare nella casa di campagna. Quest’ultima, con una ricca biblioteca, diviene un locum sacrum, anche territorio prediletto dal figlio di Sergio avuto in tarda età. Qui il giovane si isola, legge, impara, riflette. I passaggi dedicati alle letture del figlio di Sergio ricordano le riflessioni dello sfortunato poeta russo del secolo scorso Ossip Mandelstam. In una raccolta di sue considerazioni, Il rumore del tempo, scritta nel 1923 in Crimea, il poeta consacra un capitolo alla biblioteca familiare: intesa come un compagno dell’intera vita di una persona.

Waldemaro Morgese ha anche immaginato un scenario post mortem, in cui Sergio sopravvive a se stesso (sotto forma di energia? non sappiamo). Oltre la morte forse si ritrova un senso alle cose ritornando a leggere e a meditare: siamo grati all’Autore perché ci ha donato pagine squisite e un’illusione d’immortalità.

[recensione di Annalisa Boni apparsa su “EPolis Bari” di venerdì 16 giugno 2017].


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