IL MONDO E' DI TUTTI: recensioni

IL MONDO E' DI TUTTI: recensioni

Si riportano di seguito le recensioni al volume di Waldemaro Morgese Il mondo è di tutti. L'Italia fra Europa e globalizzazione (Edizioni dal Sud, Bari 2017).

 

SE L’EUROPA NON SA COGLIERE I CAMBIAMENTI. «Il mondo è di tutti» di Morgese

Ci vuole una intelligenza collettiva che in questo momento manca. Capace di far capire che Il mondo è di tutti, come Waldemaro Morgese titola il suo libro (Edizioni dal Sud, pag. 99, euro 8). Capace soprattutto di far capire che una storia è finita e da un pezzo ne è cominciata un’altra verso la quale siamo quasi completamente inadeguati. E ha ragione l’economista Michele Capriati nel suo epilogo a dire che sarà necessaria una controrivoluzione con uomini nuovi e programmi alternativi. A cominciare dall’abbandono di quella «cultura del recinto» della quale parla il giornalista Dionisio Ciccarese nel suo prologo.

Morgese, saggista, editorialista e animatore culturale pugliese, ha qui raccolto una serie di 21 articoli pubblicati soprattutto sul quotidiano EPolis Bari. Nei quali con ammirevole conoscenza e aggiornate citazioni passa in rassegna tutti i temi del nostro scontento. Anzitutto L’Italia fra Europa e globalizzazione, come dice il sottotitolo. Ma anche l’immigrazione e la tecnoscienza, lo statalismo e l’islamismo, la barbarie dell’odio e, perché no, san Nicola e il G7 a Bari. Temi che, ancorché possano sembrare remoti, determinano la nostra vita di ogni giorno.

Uno dei segni che siamo in un’altra storia è il papato di Bergoglio. Il primo non europeo in duemila anni di chiesa. Il secondo è nella legge dei grandi numeri, quelli che riguardano Cina e India. Ma soprattutto l’Africa col suo miliardo e 200 milioni di persone, e con l’età media di 19 anni. Popolo in cammino nonostante gli intralci (anche devastanti) di percorso. Con la vecchia Europa ormai ricca, ma stanca minoranza, diciamo fuori dalla nuova storia. Insomma si è spostato l’«ombelico del mondo» (come nella canzone di Jovanotti). Ma ci comportiamo come se non lo fosse.

Giustamente dice Morgese che ci vorrebbe una «identità terrestre». Verso la quale però alziamo muri che non ci salveranno. Così come inutili muri sono il ritorno agli interessi nazionali. Come se fosse così possibile arginare sia una immigrazione che si muove come una risacca. Sia arginare l’universalità di Internet che passa attraverso tutto. Cui sono collegate le «Grin» (genetica, robotica, intelligenza artificiale, nanotecnologie) che disegnano una nuova specie umana (il «cyborg») e la fine del lavoro come lo abbiamo conosciuto per secoli. Una «intelligenza connettiva», come la chiama giustamente Ciccarese. Cui non corrisponde, appunto, quella collettiva.

Di fronte a tutto questo, tutto il resto sembra retroguardia. Per cui l’Occidente che si chiude a riccio è una disdetta epocale verso se stesso. Soprattutto non puntando sul capitale umano che in questo nuovo inizio è l’interesse strategico più importante in assoluto. E fomentando diseguaglianze che sono il principale motivo dei conflitti fra gruppi e fra Stati. Ma che saranno spazzate come bolle di sapone, benché in questo momento i ceti popolari e i poteri forti sembrino imbattibili.

Morgese è consapevole del grande Vuoto del momento. Quello che, al di là dell’indottrinamento islamico, spinge i giovani di mezzo mondo all’antagonismo del terrorismo. Alla ricerca, a modo loro, di un senso. Il suo libro aiuta a orientarsi nello scoramento, nella frustrazione, nella sensazione che il peggio sia irreversibile. Indica una fiducia. Altrimenti «scrocconi, briganti, pirati e imbroglioni prenderanno il controllo» come scrisse nove anni fa il musicista Brian Eno. Morgese ci suggerisce un «sentire comune» che è il più grande assente del nostro tempo. Poggiare l’orecchio sulla prateria come facevano i pellerossa per capire dove andavano gli zoccoli dei cavalli.

[recensione di Lino Patruno apparsa su «La Gazzetta del Mezzogiorno» di mercoledì 23 maggio 2018, p. 22].


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