BIBLIOTECARI E BIBLIOTECHE: recensioni

BIBLIOTECARI E BIBLIOTECHE: recensioni

Si riporta la recensione di Piero Cavaleri al volume di Waldemaro Morgese, Bibliotecari e biblioteche. Coltivare la mente allo snodo del XXI secolo, Edizioni dal Sud, Bari 2016. 

 

BIBLIOTECARI E BIBLIOTECHE. Coltivare la mente allo snodo del XXI secolo

Questo libro di Waldemaro Morgese, che comprende un prologo di Maria Abenante e un epilogo di Maria Antonietta Ruiu, può essere letto secondo due prospettive.

La prima è quella dei concetti, la seconda quella dei significati.

Partirò dalla seconda prospettiva, brevemente ma non leggermente, perché è quella che può spiegare anche la prima.

Infatti essendo un libro composto da testi scritti lungo l’ultimo decennio, tranne uno che risale alla fine del secolo scorso, e su argomenti vari, il semplice elenco di questi ultimi non potrebbe dare in alcun modo la giustificazione del loro essere stati radunati e pubblicati oggi sotto il titolo Bibliotecari e biblioteche. Coltivare la mente allo snodo del XXI secolo.

Solo individuando i significati di tutte le pagine di questo libro possiamo capire la ragione e l’importanza della sua pubblicazione. Questi significati sono, a mio parere, l’impegno civile dell’autore, la fiducia nella possibilità di riuscire a modificare la realtà e la certezza della superiorità, sia morale sia pragmatica, del sapere, del conoscere, dell’essere consapevoli in tutte le sue forme e manifestazioni.

Oltre ai significati, altrettanto importante è comprendere chi è il destinatario dei testi, chi è che deve interpretarli per rendere reale il significato. Questo destinatario coincide idealmente con l’autore. L’autore è un intellettuale, forse gramsciano, sicuramente illuminista, che si rivolge a chi riconosce come proprio omologo per invitarlo a essere e ad agire per cambiare il mondo attraverso la diffusione del sapere e la capacità di utilizzare il sapere reificato nelle opere sia di tipo conoscitivo che di tipo espressivo. Questo è ciò che il libro ci indica, e lo fa usando alcuni concetti riferiti alla biblioteca, ai bibliotecari, agli altri operatori del filone produttivo della conoscenza.

Sullo sfondo rimangono invece i veri interlocutori dell’autore. Se l’autore si rivolge ai bibliotecari e agli altri operatori della conoscenza lo fa perché questi si rendano protagonisti di un dialogo/scontro con i detentori del potere. Questi, i politici, i dirigenti, i grandi manager, chi comanda e prende le decisioni strategiche, sono gli interlocutori che i bibliotecari devono individuare per costruire una nuova tipologia di biblioteche.

Dato il quadro generale, entriamo ad esaminare quali sono i principali concetti che emergono dai vari testi, testi, che ripeto, sono stati pubblicati o presentati durante un decennio e in forme diverse risultando perciò eterogenei se non tenessimo sempre presente durante la loro lettura ciò che abbiamo detto riguardo il significato generale dell’insieme.

Il primo concetto che emerge in molti testi è il cambiamento. Non la banale innovazione che spesso non è altro che la novità di una vetrina rinnovata ad ogni mutare di stagione, ma il cambiamento reale di elementi fondamentali della società. Morgese cerca, insistentemente e presentando casi diversi, di parlarci di ciò che realmente sta accadendo nella struttura profonda della società in cui viviamo. Il cambiamento che lo preoccupa e dovrebbe preoccupare tutti coloro che lavorano, che decidono, che pianificano nelle biblioteche è la possibile fine di un sistema in cui la coesione sociale sia sostenuta da una convergenza dei redditi e degli interessi della maggior parte della popolazione, sia attiva che ritirata dal lavoro per motivi d’età. In vari punti del libro ritorna il concetto di divaricazione nei destini delle persone. La divaricazione in atto tra chi guadagna molto e chi invece perde reddito è il cambiamento strutturale che mette in discussione il ruolo della biblioteca e che, al contrario, determina anche la possibilità di ricoprire un nuovo ruolo.

La nostra società, o almeno la società di molti paesi occidentali e di tutti i paesi che recentemente hanno imboccato percorsi di rapido sviluppo, manifesta una decisa tendenza a concentrare su pochi detentori di sapere (forse di potere) redditi e ricchezze, mentre masse sempre crescenti di esecutori (forse robotizzate o forse destinate a essere sostituiti da robot) vedono i propri redditi contrarsi e i propri diritti diminuire.

In una società di questo tipo la biblioteca, per come la conosciamo e per come la concepisce Morgese, è palesemente inutile. Avendo in gran parte perso il ruolo, quasi monopolistico, all’interno delle varie comunità di detentore dei documenti, servirebbe a ben poco quando i pochi potranno accedere facilmente a tutta la documentazione di valore di cui avranno bisogno, mentre i più saranno in grado e avranno necessità di utilizzare per svolgere le loro attività lavorative e condurre la propria vita di cittadini solo di poche informazioni fattuali e/o documenti elementari.

Morgese scommette che questa prospettiva non sia ineluttabile e che le biblioteche e, soprattutto i bibliotecari, possano e debbano avere un ruolo nel evitarlo.

Infatti se questa prospettiva fosse ineluttabile, allora il secondo concetto che ci viene ripetutamente proposto, la responsabilità sociale del bibliotecario (dell’intellettuale), sarebbe inutile.

Per l’autore invece inutile non è perché, di fronte alla possibile polarizzazione di due classi separate da barriere insormontabili, esiste un’alternativa, fatta di azioni positive per dare potere conoscitivo anche a chi sembra destinato a restare senza alcun ruolo, che, tra i molti, anche bibliotecari e biblioteche dovrebbero scegliere. Ecco il terreno su cui dovrebbero collocarsi le biblioteche e soprattutto i bibliotecari. La biblioteca sociale, la biblioteca welfaristica, la eco-biblioteca sono declinazioni diverse della biblioteca “impegnata”, che fa una scelta di campo a favore della diffusione a tutti del sapere e del saper utilizzare il sapere.

I bibliotecari, secondo Morgese, devono rendersi conto che nella società polarizzata non c’è bisogno del loro sapere se non sotto forma di un bene privatizzato.

Il ceto dominante farà proprio questo sapere distribuendolo tra le macchine (gli algoritmi) e figure specializzate non più pagate con risorse pubbliche e al servizio di tutti i cittadini, ma inserite in specifiche organizzazioni, anche pubbliche ma ad accesso riservato, comprese le scuole di élite. Il sapere dei bibliotecari in una società polarizzata sarà privatizzato oppure inutile.

Sarà inutile per i più, per coloro che dovranno svolgere funzioni robotizzate controllate dalle macchine in attesa di essere sostituiti dalle macchine. Questi più non avranno bisogno di sapere utilizzare le fonti per sviluppare pensiero originale e critico, perché questo tipo di pensiero non sarà necessario per svolgere l’unica attività di produzione di testi che gli sarà congeniale e utile: scrivere del proprio stato, delle proprie emozioni su Facebook o su Twitter.

Perché le biblioteche abbiano un futuro è necessario che la società imbocchi la strada opposta, che trovi in nuove forme di inclusione e di eguaglianza il destino del progresso scientifico e tecnologico. I bibliotecari non possono che scegliere questa seconda strada e decidere di essere protagonisti, pena la propria fine. Strano destino per una professione che per decenni ha rivendicato la neutralità di un sapere tecnico, dover ora scegliere di rischiare una scelta politica.

Waldemaro ci conduce di fronte a questa possibilità, a questa responsabilità e ci dà anche alcune idee su come agire.

Su questo piano nei vari interventi troviamo alcune fascinazioni, alcune proposte, ma soprattutto gli esempi della Teca.

Tra tutte queste proposte la più recente appare sicuramente quella dell’eco-biblioteca, che non deve intendersi riduttivamente come una biblioteca che rispetta l’ambiente oppure che propone raccolte sull’ambiente, ma ambiziosamente come la biblioteca che diviene casa della società che vuole capire i propri problemi (ambientali, ma non solo) e aiutare tutti ad acquisire conoscenze e capacità tali da poter partecipare attivamente alla produzione di beni e servizi. L’eco di eco-biblioteche va più in là dell’ecologia, fa riferimento diretto a òikos, la casa, la casa di tutti.

La proposta dell’eco-biblioteca supera sicuramente quanto Morgese proponeva nel lontano 1999, la biblioteca manageriale, che a sua volta superava quella basata sulla tecnica biblioteconomica, e anche quella welfaristica di vari altri interventi, ma di tutti tre i modelli precedenti salva ciò che di essi era essenziale, lasciandone cadere le rigidità e le sovrastrutture inutili. Del modello biblioteconomico sicuramente è la conoscenza dei documenti da parte dei bibliotecari che deve essere traghettata nella nuova biblioteca. Il modello manageriale consegna al nuovo il fondamentale concetto di accountability, di rendere conto ai contribuenti dei risultati ottenuti con le risorse (fiscali) impiegate. Il modello welfaristico porta la concezione di pro-attività per il miglioramento della società, di intervento a 360 per migliorare le persone e le loro possibilità di vivere bene e pienamente da cittadini. Tutti questi aspetti si sommano appunto nella eco-biblioteca che aggiunge ed estende la responsabilità verso l’intero ambiente a quella verso la società.

Possiamo dire che Morgese ci dà molte idee e le inquadra in una visione organica della società, delle biblioteche, dei bibliotecari, ma soprattutto indica a chi lo legge, soprattutto proprio ai bibliotecari, la necessità di elaborare delle conoscenze e idee per produrre continuamente un ambiente utile a che nascano nuove conoscenze e idee.

Infine, una meritata attenzione va dedicata anche ai due interventi di Abenante e Ruiu. Maria Abenante si fa interprete del pensiero di Waldemaro Morgese cogliendone e presentandone gli aspetti essenziali come può aver visto chi è stato all’interno del processo elaborativo che l’ha portato allo stadio attuale. La lunga frequentazione lavorativa e professionale con Morgese ha consentito ad Abenante di cogliere quelle che sono le motivazioni che hanno portato un dirigente pubblico a cogliere la possibilità di occuparsi di una biblioteca istituzionale per trasformarla in elemento di trasformazione sociale e culturale.

Ruiu invece ci propone un breve saggio che non si occupa di ciò che Morgese ha scritto, ma di dare una risposta, limitata a uno specifico caso, ma significativa, a ciò di cui Morgese vuole occuparsi: la possibilità delle biblioteche di cambiare la società in cui sono immerse. Il caso di cui si occupa Ruiu è l’anomalia dei tassi di lettura della Sardegna tra tutte le regioni del Sud (non inteso in senso strettamente geografico, ma socio-economico). Ruiu indica nell’esistenza di tante piccole biblioteche attive e nella professionalità di tante/i bibliotecarie/i di piccoli paesi una possibile spiegazione di questa anomalia. Là dove la biblioteca esiste realmente ed è parte del tessuto sociale, spesso come unica istituzione culturale, la società cambia e l’accesso alle conoscenze sociali (ai documenti) diviene un’abitudine diffusa.

[recensione di Piero Cavaleri pubblicata su "Biblioteche Oggi" n. 35 del luglio-agosto 2017, pp. 61-63].


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