ARGO SUGLIA: UN RICORDO

ARGO SUGLIA: UN RICORDO

di Waldemaro Morgese

 

E le cicale? E il vento?

Non ci sono più cicale

tra le pietre bianche della mia casa.

Se n’è andato il silenzio.[1]

 

  1. Pietro, il padre

Argo Suglia (Mola di Bari, 23 agosto 1921 - Roma, 16 febbraio 2018) crebbe in un ambiente familiare particolare, influenzato dal padre Pietro, non solo amabile ma anche forte personalità totalmente immersa nel mondo essoterico del cosiddetto “ermetismo terapeutico” fondato da Giuliano Kremmerz (1861-1930), al secolo Ciro Formisano, nativo di Portici.

Il maestro di Pietro fu iniziato a sua volta da Pasquale de Servis (Izar Bne Escur) che lo accolse nel Grande Oriente (ovvero Ordine) Egizio, una non meglio identificata organizzazione di rito massonico. Si noti che l’ermetismo egizio è di tradizione ultramillenaria: si diffuse in Magna Grecia attraverso la scuola pitagorica e nel napoletano[2].

Kremmerz nel 1896 fondò la “Fratellanza Terapeutico-Magica di Miriam” (scuola di medicina occulta a beneficio dei fratelli e sorelle affiliati, posti nella condizione di diventare terapeuti[3]), editò alcune riviste di dottrina, diffuse i principi della medicina ermetica e promosse alcune accademie operative a Napoli, Bari (qui risiedeva la figlia Gaetanina), Roma, Taranto, La Spezia. L’accademia di Bari era denominata Accademia di Pitagora, quella di Roma Accademia Vergiliana: tutte ebbero vita difficile per causa dell’ostilità del regime fascista.

Durante gli anni post-seconda guerra mondiale, caratterizzati da un vivace contrasto fra le varie anime della Fratellanza, che dura tuttora, Pietro (subito dopo la fine della seconda guerra) fu nominato preside dell’Accademia Vergiliana, in cui erano nel frattempo confluiti gli affiliati dell’Accademia di Pitagora, posta in sonno: nella capitale infatti si trasferisce dopo un periodo di servizio come geometra negli uffici napoletani delle Ferrovie dello Stato.[4]

  1. Una personalità poliedrica

In Argo si fondono, per tutta la durata della vita, molteplici impulsi creativi. Potremmo indicare in questa caratteristica la peculiarità profonda della sua personalità, il quid che ne ha fatto una persona in qualche modo dotata di carisma.

Conoscitore della dottrina ermetica, poeta, attore, scrittore di testi teatrali, insegnante di dizione e tecniche attoriali. Anche regista: ad esempio assistente per lo spettacolo Il soldato bombolone di Vincente Simon, un libero adattamento da Bertold Brecht.

Ha avuto anche una spiccata inclinazione identitaria perché legato alla sua città di nascita (Mola), ove ebbe modo di tornare su mia richiesta e iniziativa il 9 settembre 2000 per uno spettacolo da mattatore (pur avendo l’età di quasi ottant’anni) in cui dette prova di brillante maestria dinanzi ad una folta platea presso la casina Morgese in contrada Brenca (Poggio delle Antiche Ville): Povero enjambement, una carrellata poetica nei secoli con Dante, Prévert, Leopardi, Lorca, Francesco d’Assisi, Saffo, Jacopone, Osborne, Montale, Lunetta (suo grande amico), Brecht, Suglia stesso. Come scritto da lui: “una smarrita antologia in ricerca del chiarore e dei silenzi degli oracoli antichi della voce”. [5]

  1. La bohéme…

Ma torniamo indietro. Dopo una breve attività alle dipendenze della compagnia telefonica romana TE.TI, che si sciolse nel 1964, cominciò per Argo una vita in perfetta simbiosi con il variegato ambiente artistico romano, con al fianco l’amata consorte Maria Pesce (mia zia materna), figlia del musicista Ottone (mio nonno), uno dei sette figli di Angelo, il cui primogenito era Piero Delfino Pesce.[6]

Ricordo un episodio a questo proposito, quando ero studente universitario presso “La Sapienza” di Roma. Mi invitò con Maria ad una scampagnata fuori porta, precisamente ad Anticoli Corrado, paese collinare di mille abitanti, che godeva di panorami magnifici e che per questi motivi era divenuto nel corso dei decenni una sorta di casa degli artisti, inizialmente pittori ma poi anche scultori, teatranti, scrittori, poeti. Le donne di Anticoli si erano ben presto adeguate divenendo modelle. Anticoli era anche set cinematografico, dato che vi erano stati girati famosi film. Lo scopo principale della gita ad Anticoli era quello di farmi conoscere il poeta spagnolo Rafael Alberti, loro amico, a quel tempo esule del franchismo. E infatti così accadde.

 Argo Suglia svolse per vari anni l’insegnamento di dizione e di tecniche attoriali prima presso la famosa scuola romana di Alessandro Fersen, poi presso altre strutture ed anche in privato sotto forma di lezioni ad personam: i suoi “alunni” sono stati una vera e propria schiera. Ne cito qui solo alcuni, non solo attori: Raffaella Carrà, Antonio Campobasso, Marina Sciarelli Genovese, Michele Soavi, Marco Modugno, Fulvia Midulla, John Clap, Pasquale Pesce, Teresa Pedroni, Beatrice Palme, Adriana Pecorelli, Bianca Grieco.

Ebbe la grande capacità e merito di mettere a punto un compiuto metodo di tecniche e creatività dell’attore, un vero e proprio manuale noto a molti attori. Da ultimo ho raccolto la testimonianza dell’attrice e regista Paola Martelli che, pur non avendo conosciuto di persona Argo, conosceva perfettamente l’esistenza del suo manuale, avendo frequentato la scuola Fersen successivamente.

Argo fondò sue compagnie: Officina del Commediante, Scuola-Officina, Officinarte. Svolse la sua attività anche presso il Teatro-studio di Spoleto, il Teatro-studio di Roma, la Scuola di Tecniche dello Spettacolo di Roma, l’Accademia di Campobasso.

In particolare con l’Officina del Commediante presentò cinque spettacoli fra il 1987 e il 1993. Nel 1992 fu la volta di Ipotesi di spettacolo, scritto e diretto da lui, la cui prima si svolse presso il Metateatro di via Mameli a Roma con lo scopo precipuo di valorizzare la fatica e la genialità dell’attore. Con Argo recitarono Domenico Carrino, Simonetta Cartia, Annamaria Compare, Renata De Luca, Giorgio Mozzarelli, Massimo Nicosia, Alessandro Possenti, Mimmo Surace. Su questo spettacolo, più volte replicato, che intendeva mettere in scena “il ghigno e i soprusi del potere, i conformismi e lo sfruttamento dell’uomo”, la critica si espresse in modo entusiastico. Ecco un esempio:

“Argo Suglia come un sacerdote pronto ad officiare il rito della comunione tra noi e loro, ci conduce attraverso storie di individui infangati dalla cultura (fallica direbbe Ida Magli, e ha ragione) che ha sempre governato, ovvero quella della violenza. Donne stuprate o costrette alla prostituzione, religiosi messi a tacere da dogmi che non sono certo quelli dell’amore e della fratellanza, omosessuali, e i bambini; le uniche vere vittime dell’idiozia umana. Lo spettacolo colpisce al cuore appunto senza mediazioni di sorta. Ogni danza, canto o nenia, pianto o urlo, parola o sorriso, risuonano di più eco. Come un teatro da farsi, che si costruisce durante e in faccia allo spettatore, sembrano appartenerci quelle storie, perché prive di retorica”.

Si comprende l’afflato dell’artista: in Argo Suglia, quasi al termine della sua “carriera”, gli insegnamenti della recitazione, che conducono a saggiare anche gli abissi sovente oscuri dell’animo umano, si intrecciano con una esplosione di teatro militante che mette al bando ogni orpello, ogni convenzione per restituire allo spettatore la vita vera, quella di ogni giorno, segnata spesso dall’indicibile. Tutto ciò ci sembra molto attuale, quasi ci parla ancora!

Un’altra critica entusiastica fu scritta da Paolo Ruffini sulla rivista fiorentina Il Portolano, nella primavera del 1994.

  1. Il poeta

Argo Suglia ha coltivato la propria vena poetica per tutta la vita. Anche negli ultimi anni e negli ultimi mesi, nonostante le sue condizioni fisico-psichiche fossero precipitate divenendo durissime.

Da poeta ha vinto quattro premi letterari nazionali: il Città di Palestrina 1988, il Premio Poesia Hayku 1989 (fra 2000 partecipanti), il Lidense 1997 e il primo Poetry Meeting Italo-Elvetico 2000. La giuria del Lidense, composta da illustri personalità (fra cui Mario Lunetta, Mario Verdone, Gianni Sepe), così motivò il primo premio per una sua silloge di 4 poesie (Le Murge non sappiamo; Le statue di Portecchia; Altro suono ha la voce; Occhi di donna a guardare):

“Una lirica ermetica, una voce poetica forte e dirompente, quella di Argo Suglia, poeta-attore. Dai suoi versi emanano, e le si respira nella pienezza espressiva, l’aria e la gestualità scenica dei grandi interpreti della tragedia ellenica. Canta, Argo Suglia, il mare e la terra delle radici, e la koinè della sua creatività poetica percorre i canoni classici della purezza ermetica della parola, fino al narcisismo espressivo. Versi saturi di empatia, che penetrano il lettore, trasportandolo sulle onde musicali di un fascinoso percorso che lo portano a congiungersi simbioticamente con il poeta”.

L’Hayku lo vinse con questa poesia: “Giro di luna,/ gioca nuova la serpe/all’avventura”. Sue poesie sono apparse in antologie, riviste e giornali; alcune sono state pubblicate in lingua giapponese e in inglese. I suoi hayku sono stati oggetto di lezione presso le Università degli studi di Urbino e Milano. 

Ha vinto anche altri premi, classificandosi nelle terne o cinquine, come ad esempio il secondo premio Maestrale-San Marco 2000 con la poesia O dolcezza che tingi la mia sera. Già la giuria del Costantino Nigra 1966, composta da Carlo Bo ed altri, espresse il seguente giudizio:

“la poesia di Argo Suglia, frutto di lenta maturazione, si rifà ad un’esperienza di infanzia e adolescenza meridionali, rivissute con una nostalgia ferma, mai abbandonata, dichiarata con accento asciutto, più epigrammatico che elegiaco, talvolta acceso dalla protesta. In ogni lirica vi è la presenza non rettorica di persone e animali, terra e mare, fatiche, amori e lutti. La scena non è mai vuota, come l’immagine non è mai gratuita”.

Era solito dedicare poesie a parenti e amici, anche molesi. A me il 28 maggio 2016 dedicò questa, intitolata Cave Maulenses: “I pomodori accesi/alla scala del cielo./Per mareggiate d’uva e di carciofi/una pisciata d’olio tra le stelle./Una rete di mare sulla porta/dentro gli occhi l’anguilla levantina/e il cuore che si spacca/a infarti e a coltellate”.

Ne dedicò anche a Mola: quella più nota, Mola del Mare, ebbi modo di farla pubblicare sul quotidiano EPolis Bari del 5 aprile 2013, a fianco dell’articolo a mio pugno Suglia, il poeta con Mola nel cuore.[7]

Ne dedicò anche al dialetto (molese), che amava. Ma il suo amore per il dialetto era intriso, come tutta la sua vita sostanzialmente, di protesta sociale:

E subito li becchi

E subito li becchi

I piccoli borghesi:

dispregiano il dialetto

e mai portano il lutto

cincischiano uno stemma

s’aggiungono un cognome

per nobili sembrare

e fieri quando brindano

-con la bottiglia a tavola-

gorgheggiano: «cin cin».

 

Le ceneri di Argo giacciono ora in Roma, nel cimitero del Verano, insieme alla mia zia Maria e alla figlioletta nata morta nei primissimi anni del loro matrimonio.

  1. Epilogo

Mola non coltiva archivi, biblioteche e musei: istituzioni che innervano la memoria e i suoi legami con il presente e il futuro. Da questo punto di vista, e da molti altri, è divenuta icona di una tragedia.

I suoi padri nobili e i suoi figli di talento[8] soffrono di ciò. Faccio voti perché tutto quanto si è abbattuto su Mola e sui molesi sia superato al più presto.

Ma dubito molto, non per pessimismo, bensì perché so quanto sia faticoso e difficile risalire le chine.


[1] E’ la prima strofe di una poesia composta nei primi mesi del 2017 da Argo Suglia intitolata Con le cicale il vento. Questo articolo è stato pubblicato nel n. 173, marzo 2018, della rivista «Città Nostra».

[2] Ermete è l’egizio dio Thot o l’ebraico profeta Misraim; Ermete Trismegisto è la scuola ermetica originaria, fondata da un essere umano e divino tre volte Mago (il collegamento con il cristianesimo è nei tre Magi che seguono la stella per raggiungere la capanna di Gesù). A Napoli si può tuttora ammirare la cappella Sansevero (oggi anche museo visitabile), voluta dall’ermetico Raimondo di Sangro, ispiratore del Rito Egizio, ricca di riferimenti misterici e alchemici. Nel cuore della Neapolis greco-romana ha trovato collocazione anche il quartiere Nilense. Si comprende dunque perché a Napoli si è sviluppato a livello popolare il culto del gioco del lotto e della cabala. Un utile abbrivio è: Martin Rua, Napoli esoterica e misteriosa, Newton Compton, Milano 2015.

[3] Secondo Elémire Zola la medicina ermetica prospettava un uomo perfetto di corpo fisico saturnino, di anima o psiche mercuriale e di solarità apollinea o spirito. Kremmerz scrisse vari vademecum, fra cui oggi è da ricordare almeno: Lunazioni – Annotazioni sulle influenze siderali e lunari sulle piante, i medicamenti, le infermità del corpo umano, Editrice Miriamica, Bari 1992. Si propugnava in essi la possibilità di curare e guarire anche a distanza. Le edizioni Giuseppe Laterza a Bari hanno pubblicato bibliografia kremmerziana. Su Kremmerz si veda Giuliano Kremmerz e la sua Scuola Iniziatica, a cura di Pier Luca Pierini, Edizioni Rebis, Viareggio 2000 (opera in cui appare la foto che Argo teneva esposta nel salotto della sua casa romana, in cui sono ritratti Kremmerz e il padre).

[4] Il legame del padre di Argo Suglia con la mia famiglia è documentato da varie testimonianze. Ricordo solo che nel 1975 Nino Rota (1911-1979) volle esibirsi al pianoforte durante il matrimonio di mia sorella Maria Carla Morgese con Agostino Divella, come regalo di nozze, auspice proprio Pietro, cui Nino Rota era legatissimo per fratellanza pitagorica e massonica (Rota fu fra l’altro indefesso raccoglitore dei testi alchemici ed ermetici apparsi nei secoli dal XV al XVIII, oggi presso l’Accademia dei Lincei). Argo Suglia manifestò in un certo momento della sua esistenza il desiderio di scrivere una storia della vita del padre (progetto non portato a termine) e comunque di certo la sua scelta giovanile di iscriversi alla Facoltà di medicina di Napoli, la sua inclinazione per le pratiche pranoterapeutiche, per la “lettura” dei tarocchi e la formulazione di oroscopi, forse perfino la secchezza ermetica della sua poesia sono da ricondurre alla temperie filosofica che ebbe a respirare attraverso la figura paterna.

[5] Nella sua vita Argo Suglia ha svolto molte performance poetiche, spesso intrecciate a canzoni. Ad esempio il 26 luglio 1997 ad Ostia si esibì in un recital dal titolo Gatto a nove voci, con la cantante Chiara Tomarelli e il direttore d’orchestra Adriano De Santis.

[6] Un profilo di Maria Pesce (1927-2011) professoressa di lettere classiche e poi anche scrittrice può essere letto al link: http://www.casinamorgese.it/1/maria_suglia_pesce_scrittrice_un_ricordo_6088524.html.

 

[7] Propose, inascoltato, che il toponimo “Mola di Bari” fosse cambiato in “Mola del Mare” e la sua corrispondenza, dal 2013 in poi, cominciò a portare l’indirizzo “70042 – Mola del Mare”.

[8] I cui profili si è provveduto a tratteggiare, da ultimo, nella pubblicazione: Ecomuseo del Poggio di Mola di Bari/Associazione ONLUS Le Antiche Ville, Conosci il tuo paese 2, ArtStampa 2000, Monopoli 2015.


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